02.01.2011Alessandro Di Maio

Dorog, la sconosciuta

Dorog è una città dell’Ungheria settentrionale situata a quaranta chilometri dalla capitale Budapest, a breve distanza dalla frontiera Slovacca tra i monti Pilis e Gerecse. Fondato nel 1181 e distrutto dalla successiva invasione ottomana, Dorog era un piccolo villaggio di poche centinaia di anime, pedine dei primi giochi internazionali tra grandi Stati. Ricostruito e sottoposto all’autorità degli Austro-Ungarici, nel 1765 il villaggio si espanse rapidamente grazie alla nascente industria asburgica, alimentata dalle numerose miniere di carbone presenti nei dintorni e dalla grande disponibilità d’acqua. Nel 1765 il villaggio fu dotato di una chiesa cattolica in stile barocco e poi nel 1895 di un collegamento ferroviario con la capitale, a cui - dopo la Prima Guerra Mondiale e il Trattato di Trianon che sanciva lo smembramento del Regno d’Ungheria - si aggiunse anche una chiesa calvinista costruita dai minatori giunti dalla Transilvania.

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02.01.2011Alessandro Di Maio

Il Danubio notturno

Era notte, il silenzio totale, la Luna alta, piena, completamente bianca. Intorno a me alti alberi da taglio mangiavano il cielo scuro. Non c’era vento e l’aria era leggera, secca, fredda. Tutto era immobile, eppure tutto si muoveva. Stavo in piedi con il solo costume a coprirmi il corpo. Contemplavo il Danubio o quel che riuscivo a vedere. Silenzioso, consapevole o meno, percorreva il suo cammino, una strada nera che separava due rive di alberi uguali. Dagli alberi dietro di me sentii arrivare gli amici ungheresi che mi avevano portato lì. Ragazze diplomate in collegi cattolici e laureande in università cattoliche. Quando raggiunsero la riva mi salutarono, si tolsero i vestiti e si inabissarono una alla volta nelle calme acque del fiume.

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02.01.2011Alessandro Di Maio

Autunno a Piliscsaba

Il cadere delle prime foglie dagli alberi annunciò l’arrivo dell’autunno a Piliscsaba, una cittadina ungherese a circa trenta chilometri nord da Budapest. Non ero mai stato in un paese continentale senza sbocco al mare. Da questo punto di vista l’Ungheria dell’estate 2007 mi fu madre. Fu una tappa fondamentale, un indicazione chiara della strada da seguire, un’esperienza proficua che mi insegnò a viaggiare attraversando confini, montagne e fiumi. Lì imparai a camminare ascoltando, osservando, comprendendo la natura; imparai a chiedere passaggi in macchina o a cavallo, a viaggiare con quattro stracci chiusi in un sacco da portare sulla spalla. A Piliscsaba l’aria fresca attraversava i tessuti dei vestiti, mentre il cielo, ogni giorno più velato da pugni di nuvole, incastrava il sole in un piccolo e debole cerchio giallo. L’estate era scivolata via come sabbia tra le dita, scandita dalle lezioni tenute all’Università Cattolica Peter Pazmany.

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02.01.2011Alessandro Di Maio

Per Viale Manzoni, Roma

Sophie è una ragazza tedesca bionda, magra e ossuta. E’ con lei che ho attraversato la più bella Roma che abbia mai visto e vissuto in vita mia. Era una Roma insolita, estiva, notturna, deserta. I monumenti erano silenziosi, le strade vuote, l’aria fresca, i barboni rannicchiati sotto le porte degli uffici pubblici, la Luna illuminava quel che poteva. Avevamo passato la serata all’Isola Tiberina, trasformata in festa dal caldo dei primi di Luglio. Bancarelle, ristoranti, pub, cinema e librerie all’aperto affollavano davano ospitalità alle migliaia di persone spinte lì dalla calura serale.

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02.01.2011Alessandro Di Maio

21 anni sono buoni per andare a Barcelona

Mancavano pochi giorni al Natale. In quel periodo non facevo altro che sperare di evadere, scappare dal solito Natale, dalle noiose domeniche a non far nulla, dal solito paesaggio e dalle solite persone. Per questo motivo partì alla volta di Barcelona di Spagna. Arrivai in aeroporto nel primo pomeriggio di un freddo giorno di Dicembre 2005. Silvia mi aspettava. Era una ragazza catalana, impegnata con me al giornale. All’uscita dello scalo prendemmo un autobus metropolitano che ci portò fino a Plaça de Catalunya, una grande piazza al centro della città da cui partiva la Rambla, la vera arteria cittadina. Imparai da subito che quella strada pedonale divide in due la città vecchia. Da una parte quella turistica, dall’altra quella degli spacciatori di droga, delle puttane, degli edifici malridotti, insomma quella degli artisti.

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02.01.2011Alessandro Di Maio

Dalla sera alla notte al Paseo del Prado

Era finalmente giunta la sera che aspettavo. L’aria limpida e fredda rifletteva le luci bianche e rosse delle macchine che dalla Puerta de Alcalá si diramano per tutta la città. Bandiere nazionali sventolavano lentamente sui balconi degli edifici pubblici. I negozi sputavano gente d’ogni risma, persone agghindate con cappotti neri a grandi bottoni sui lati e colletti alti fin sopra le orecchie. Alle otto e trenta della sera entrai dal cancello che dalla Plaza de la Independecia dà sull’Avenida de Mejico nel Parque del Retiro. Fu lì che incontrai una figlia di Euskadi, una spagnola del nord, bionda, magra, vestita di jeans e di una pesante giacchetta a quadretti marroni.

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