02.01.2011 Alessandro Di Maio

Una coppia a Madrid

I passanti erano molti, le automobili di più. I cappotti scuri e le sciarpe chiare dei primi facevano pensare ad una cartolina di inizio Novecento, le luci rosse e bianche delle seconde riportavano alla modernità scandita dai semafori. L’aria dura come l’acciaio congelava la gola.

Dopo gli incontri precedenti consumati tra tè, caffè, baci, abbracci e conversazioni d’ampio respiro, quella sera Fabrizio avrebbe incontrato Leticia per la terza volta. Letizia era una ragazza basca, dai lunghi e fini capelli biondi, dal corpo slanciato e sensuale proprio delle donne tra Spagna e Francia.

L’appuntamento era al solito posto, all’ingresso del Parque del Retiro, di fronte la Puerta de Alcalá in Plaza de la Independencia, dove negli anni della Guerra Civile albergava una gigantografia di Stalin. Fabrizio arrivò con qualche minuto di anticipo. Lei non c’era ancora.

La vide arrivare poco dopo dall’angolo della strada che fissavo da tempo, la calle de Alfonso XII. Si accorse di lui e, dopo aver accennato ad un leggero sorriso d’approvazione, abbassò immediatamente lo sguardo come fosse timida.

Fabrizio le andò incontro fino a sentire il suo profumo di mandorle. A pochi centimetri di distanza l’uno dall’altra, in mezzo al largo ingresso del parco e tra centinaia di persone completamente assenti, i due si guardarono intensamente senza nemmeno salutarsi.

Gli occhi dei lei erano grandi, intensi, decisi, focosi. Lui la fissava meravigliato, sorpreso dalla bellezza di quella donna quasi sconosciuta che gli sembrava più donna delle altre. Quando lei accennò ad un sorriso lui ne approfittò per distogliere lo sguardo e osservarle le mani, delicate, bianche e ricche di anelli. Nelle lunghe dita vedeva interminabili carezze e più sensuali premure, nelle maniche rialzate della camicia la risolutezza di una giovane donna.

Alla loro destra un autobus si fermava, rigurgitato decine di uomini e donne dai vestiti scuri e lo sguardo stanco. I due si voltarono ad osservare per qualche secondo, poi, dopo un ennesimo scambio di sguardi, si avvinghiarono baciandosi con passione, abbracciandosi come fiere in lotta.

Anche quella sera lei vestiva alla moda. Gli abiti casual dell’incontro precedente avevano lasciato il posto ad un pantalone nero aderente, una camicetta bianca che accentuava i seni e un cappotto scuro aperto sul davanti. Con leggerezza sfidava il freddo.

Si incamminarono mano nella mano con la sola intenzione di passeggiare per le vie della città conversando e conoscendosi. Leticia ascoltava con attenzione senza mai interrompere, voltandosi di tanto in tanto per scrutare le espressione nel viso di Fabrizio. Poi parlava lei, esprimendosi in modo chiaro e sintetico, senza gesticolare, scaldando l’aria con la tiepida e diafana voce di una giovane donna dallo spagnolo fine.

Presi dalla discussione sulla situazione politica in Euskadi, e senza sapere dove e cosa fare, lasciarono calle de Alcalá per calle de Sevilla.

“Il País Vasco non è l’ETA, è una ricca e prosperosa terra, regolata da antiche e sentite tradizioni mescolate a spinte indipendentiste...”, disse Leticia portandosi un filo di capelli dietro l’orecchio. “L’ETA è un piccolo e ristretto gruppo di fanatici convinti dell’utilità e necessità del mezzo terroristico, ma si sbaglia e per questo è sempre più emarginato non solo nell’attività politica, ma anche nella stessa società Vasca”, continuò.

Camminando giunsero all’angolo tra calle de la Cruz e calle de la Victoria, videro una giovane coppia uscire da portone di legno con i maniglioni dorati. Uscivano dal civico numero 14 di calle de la Cruz, dall’Hostal Los Angeles. Felici, giocosi, allegri, si abbracciavano, baciandosi in continuazione.

Vedendoli uscire in quel modo, Fabrizio e Leticia si fermarono e la conversazione si interruppe. Fu allora che i due si guardarono l’un l’altro certi di aver avuto la stessa idea.

Un leggero sorriso sfiorò le labbra di Leticia, i suoi occhi, il suo viso brillavano. Fabrizio deciso la prese per mano portandola fino al grosso portone. Suonarono al 14. Rispose una signora invitandoli a salire.

L’ascensore a grate degli anni del franchismo li portò al terzo piano. Lì una grassa matrona mal vestita li salutò cordialmente e diede loro la chiave per la stanza 324. La matrona rimase indietro e richiuse la porta.

Soli, nella stanza 324 dell’Hostal Los Angeles, Leticia e Fabrizio si guardarono per l’ennesima volta mentre i rumori della strada giungevano attutiti attraverso una finestra aperta con le serrande abbassate.

Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 22 dicembre 2007