The other side of Israel
In Israele non capita mai che una donna ebrea viva in una città abitata esclusivamente da musulmani, o, viceversa, che una donna musulmana viva tra ebrei. Se capitasse, si confermerebbe la regola della reciproca ghettizzazione sociale che tra il Mediterraneo e il fiume Giordano colpisce ebrei e musulmani, israeliani e palestinesi, si sciorinerebbero parole per la celebrazione di un piccolo passo verso la convivenza pacifica, e siccome Israele è un paese complesso, prodigo di stimoli e contraddizioni, non sarebbe certamente frutto del caso, ma di volontà politiche o esperimenti sociali.
Per questo, quando si parla di convivenza tra popoli in conflitto, è necessario rimanere con i piedi per terra, analizzare i fatti nel modo più empirico e sereno possibile, lasciando a lato le passioni politiche che, purtroppo o per fortuna, annebbiano la vista dei protagonisti e degli spettatori del conflitto israelo-palestinese.
Alla fine dello scorso anno ricevetti in regalo una copia di “The other side of Israel”, il libro della scrittrice britannico-israeliana Susan Nathan che in Italia è edito da Sperling & Kuffer con il titolo di “Shalom fratello arabo”.
L’ho letto nella sua versione in inglese e l’ho trovato tanto interessante quanto ricco di dati e situazioni che andrebbero verificate e approfondite, ma che di certo rappresentano spunti importanti per migliorare la società israeliana e il rapporto tra israeliani e palestinesi. Ma di cosa si tratta?
Susan Nathan è una donna di mezza età, dai capelli biondi e il fisico asciutto. Nata dalla diaspora ebraica in Gran Bretagna e cresciuta dagli ideali sionisti, con gli anni matura l’idea di compiere Aliyah, di risalire a Sion, a Gerusalemme, in breve, di andare a vivere in Israele, nella patria storico-religiosa degli ebrei, in quell’unico luogo sulla Terra dove gli ebrei sarebbero stati nella possibilità di essere padroni di se stessi.
Susan parte, lascia l’Inghilterra alla volta del sogno sionista, verso cui, dopo qualche tempo, inizia a nutrire dubbi. Nella società israeliana nota aspetti che non riteneva possibili, storie che credeva non esistessero.
Scossa dai dubbi e dalla paura di aver creduto a quella che inizia a ritenere essere stata una finzione, Susan compie un altro viaggio: lascia l’occidentalissima Tel Aviv per Tamra, una piccola cittadina araba della bassa Galilea.
Nel libro, Susan scrive spesso di essersi fidata del sionismo politico, di aver creduto che la Palestina fosse una terra senza popolo per un popolo senza terra, per poi scoprire che benché la regione storica della Palestina fosse poco popolata, le realtà arabe erano tutt’altro che poche, piccole e irrilevanti, e che, anzi, prima della nascita dello Stato di Israele costituivano la maggioranza doppia rispetto a quelle ebree.
Susan decide di vivere tra la popolazione palestinese di Israele, quella rimasta “al di qua” della Linea Verde, quella definita in molti modi – arabi-israeliani o palestinesi del ’48 – a seconda delle preferenze ideologiche e delle interpretazioni storico-politiche.
A Tamra Susan scopre un mondo nuovo. Il punto di vista è diverso da prima e le permette di osservare e analizzare una serie di problematiche che affondano gli artigli nel più conosciuto conflitto israelo-palestinese.
Susan è l’unica ebrea in una città di arabi. Scopre le discriminazioni che questi soffrono in Israele, studia i dettagli del sistema educativo israeliano, le ripartizioni del territorio e delle risorse idriche, le possibilità di lavoro.
Per Susan sono situazioni croniche causate dalla cecità delle classi dirigenti, condizioni non accettabili per israeliani e palestinesi, sfide che se affrontate seriamente potrebbero migliorare lo Stato di Israele e la convivenza tra popoli che al momento hanno paura l’uno dell’altro e non si conoscono abbastanza.
A differenza di come potrebbe pensare un lettore disattento o un attivista eccitato, il libro non è contro Israele e nemmeno contro gli ebrei. Il libro non bestemmia né grida: parla semplicemente, esponendo l’esperienza dell’autrice e i problemi da lei individuati.
“The other side of Israel” rappresenta una sfida interna alla società israeliana, un punto di partenza per chi tiene a migliorare Israele rendendolo uno Stato migliore.