The clash of Civilizations. Lo scontro delle Civiltà
Nel 1993 sul Foreign Affairs apparse un articolo intitolato “The Clash of Civilizations?” a firma di un semi-sconosciuto Samuel P. Huntington, professore dell’Università di Harvard.
Intento ad affrontare i possibili futuri scenari geopolitici di un mondo non più dominato dalle logiche della Guerra Fredda e, dunque, aperto a nuove speranze e timori, il pezzo fece discutere così tanto, e in modo così animato, da spingere l’autore ad approfondire il tema scrivendo un libro.
Quattro anni dopo in Gran Bretagna fu pubblicato “The Clash of Civilizations”, “Lo scontro delle Civiltà”, quello che il premio Nobel Henry Kissinger definì “uno dei più importanti libri emersi dalla fine della Guerra Fredda”. Il libro divenne subito un best seller: conquistò l’attenzione della carta stampata, della televisione e delle università, ottenendo aspre critiche e apprezzamenti diffusi.
Personalmente, appresi del libro non nelle aule universitarie siciliane, ma in una piccola stanza del Goethe Institute di Amsterdam, durante una delle prime lezioni dell’Euro-Mediterranean Academy for Journalists (EMAJ).
Si trattava di un corso giornalistico frequentato da un pugno di giovani giornalisti provenienti da Europa, Africa del Nord e Medio Oriente, e avente la finalità di dispensare le nozioni basilari di fenomeni quali migrazione, integrazione, diritti umani, libertà di culto, laicità e democrazia.
Un giornalista egiziano - oggi mio collega - disse che “Lo scontro delle civiltà” altro non era se non “un libro ricco di stereotipi sul mondo arabo e sull’Islam, un volume propagandistico e contrario alla coesistenza pacifica dei popoli”.
Al commento del primo si unì ben presto quello di una giornalista e politologa turco-olandese - oggi una delle colleghe e amiche cui sono più affezionato. Senza mezzi termini, anche questa bollò l’opera del docente di Harvard come un “libro islamofobo e ricco di pregiudizi, superato dai tempi e adatto più ad anziani aterosclerotici che a giornalisti, politologi e scienziati politici".
Per molto tempo tali commenti sono stati il mio termine di paragone con il libro di Huntington. Oggi non è più così. Dopo aver letto la copia in inglese e averla analizzata in ogni sua parte, sono arrivato alla conclusione che “Lo scontro delle civiltà” è un libro di straordinario valore e interesse.
Povero di stereotipi e ricco di esempi pratici e fattispecie individuate, il libro ha il contenuto, la struttura e la facilità d linguaggio, tipici del classico manuale di relazioni internazionali. Non è conservatore, né islamofobo, profetico e arrogante; ma soprattutto non è un manuale superato dai tempi.
La sua attualità è sconvolgente: non solo perché la terminologia adottata dall’autore è oggi di dominio comune, ma anche perché a quattordici anni dalla sua prima pubblicazione i ragionamenti rimangono concreti.
La tesi principale espressa è quella della divisione del mondo in "civiltà”, aree omogenee per lingua, religione, tradizione e costumi. Terminata la Guerra Fredda e superata l’era delle ideologie, secondo Huntington, gli esseri umani tendono a raggrupparsi secondo uno schema di affinità culturali che riconfigura la politica mondiale degli ultimi anni.
La definizione più convincente e verificabile del libro, è quella della "guerra di faglia". Se oggi guardiamo alle guerre combattute nel mondo, è possibile verificare che esse avvengono quasi tutte lungo "faglie culturali", cioè i confini tra le varie civiltà (es. le guerre in Bosnia, Cecenia, Kashmir, Sudan, Sri Lanka, Israele, ecc).
Le linee di confine delle civiltà sarebbero destinate a dividere il mondo futuro secondo una logica di accentuata collaborazione fra simili ed inimicizia fra dissimili.
Azzeccata anche la distinzione tra Modernizzazione e Occidentalizzazione. Secondo Huntington “via, via che il processo della modernizzazione aumenta, il tasso di occidentalizzazione si riduce e la cultura autoctona torna a emergere, modificando gli equilibri di potere tra l’Occidente e le società non occidentali e rafforzando in esse il senso di appartenenza alla propria cultura e alle proprie tradizioni”.
Questo fenomeno dovrebbe spingere l’Occidente ad abbandonare il sogno di una civiltà universale basata sui valori occidentali (democrazia e rispetto dei diritti umani) che non sarebbero universalmente condivisi.
“Lo scontro delle civiltà” non anticipa un’invasione islamica, né stimola lo scontro tra civiltà. Tutt’altro, Huntington ritiene che lo scontro sia un pericolo immane e raccomanda di evitarlo abbandonando l’idea della civiltà universalistica.
L'analisi è severa, oggettiva, supportata da fatti storici e da esempi calzanti, priva di affermazioni faziose e pregiudizi. La tesi di Huntington si può condividere o meno, ma “Lo scontro delle civiltà” è un libro che nessun giornalista o scienziato politico può permettersi di non aver letto.