Raffaele Ciriello - Ramallah, 13 Marzo 2002
Due viaggi in autobus tra Tel Aviv e Gerusalemme sono stati sufficienti per portare a termine la lettura di “Passione Reporter”, un libro che racconta di un giornalismo “irregolare”, fatto di uomini e donne che per un’informazione vera hanno dato la vita.
Edito da Chiare Lettere e scritto dal giornalista Daniele Bianchessi, il libro è un omaggio a Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Raffaele Ciriello, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni e Antonio Russo.
Tutti giornalisti inviati in zone di guerra, colleghi uccisi perché - questa la tesi del libro - avevano ficcato il naso dove non dovevano. Sono per lo più nomi sconosciuti agli italiani, ma pilastri portati per un opinione pubblica informata e colta, elementi necessari per una società democratica, grandi esempi per tutti i giornalisti - ed io sono uno di questi - che vogliono seriamente raccontare il mondo con parole, immagini, video.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati assassinati in Somalia dopo aver fiutato intrallazzi italiani nel traffico illegale di armi e rifiuti tossici. La siciliana Maria Grazia Cutuli è stata uccisa in Afghanistan dove raccontava la vita della popolazione civile martoriata dalle guerre. Enzo Baldoni è stato sequestrato e ucciso in Iraq, dove lavorava sia nella veste di giornalista che in quella di operatore umanitario. Antonio Russo è stato ucciso in Cecenia, dove raccontava via radio le cronache della rappresaglia russa contro i separatisti ceceni.
E poi c’è Raffaele Ciriello, fotoreporter italiano ucciso nel 2002 in Palestina durante gli scontri militari successivi allo scoppio della Seconda Intifada. Guardando le fotografie di Raffaele sono rimasto senza fiato e con il desiderio di imparare i suoi tagli e le sue composizioni.
Le chiamava “cartoline dall’inferno” e aveva ragione a chiamarle così. La sua macchina fotografica ha immortalato le più atroci scene di guerra in Afghanistan, Somalia, Libano, Sierra Leone, Eritrea, Ruanda, Ex Jugoslavia, Sahara Occidentale e Territori Palestinesi.
Quando ho letto la storia di Raffaele ho rimproverato me stesso: “Ma come? Vai a vivere in Medio Oriente per iniziare a fare i primi passi come inviato in zone di conflitto e non conosci nemmeno questo straordinario fotoreporter italiano?”
“Passione Reporter” ha fatto le presentazioni, poi il sito internet di Raffaele, la mia curiosità e il rispetto che ho da subito nutrito per il lavoro di questo grande fotoreporter hanno fatto il resto. D’altronde come non sentirsi vicino a Raffaele se vivo a pochi chilometri dal luogo dove è stato ucciso? Come non sentirsi vicino a Raffaele se spero di utilizzare la fotografia per raccontare il mondo proprio come ha fatto lui?
E’ il Marzo 2002 e l’esercito israeliano occupa interamente i territori palestinesi. Lo fa in risposta ai sanguinosi attentati terroristici realizzati da gruppi di palestinesi contro civili israeliani. E’ il momento più teso dallo scoppio della Seconda Intifada, è la fine del processo di pace. I soldati israeliani occupano le città palestinesi che gli Accordi di Oslo avevano affidato all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), molti campi profughi sono sottoposti a coprifuoco, il leader palestinese Yasser Arafat è in trappola nel quartier generale dell’OLP a Ramallah, assediato dai blindati israeliani.
Raffaele decide di partire per la Palestina a documentare il conflitto. Pochi giorni dopo il suo arrivo è testimone di un disdicevole atto perpetrato dall’esercito israeliano nei confronti della stampa. L’Hotel City Inn di Ramallah, dove Raffaele dimora insieme alla maggioranza dei giornalisti stranieri, viene preso di mira dal fuoco israeliano. Per l’esercito nell’albergo era nascosto un cecchino palestinese, ma Bianchessi propone un ipotesi completamente diversa: il governo israeliano avrebbe dato ordine ai propri soldati di intimorire i giornalisti stranieri ed evitare che eventuali eccessi di violenza vengano documentati e trasmessi in tutto il mondo.
Bianchessi considera questa ipotesi partendo proprio dalla testimonianza di Ciriello che in due interviste a Radio24 descrive la mancanza di sicurezza nei territori palestinesi per gli inviati delle principali testate accreditate nel marzo 2002:
“Siamo stati testimoni di una sparatoria non lunghissima ma assai nutrita, proprio in direzione del quarto piano dell’hotel dove siamo alloggiati - afferma Raffaele. I soldati israeliani erano innervositi dai flash delle macchine fotografiche e dalla presenza di numerose telecamere. Siamo stati appiattiti sul pavimento, stesi a terra per mezz’ora davanti a tutte le stanze che danno sulla strada, mentre piovevano proiettili, uno ha centrato in pieno l’obiettivo di una telecamera. Una stanza è stata colpita: fortunatamente l’operatore della televisione americana Abc che la occupava non c’era in quel momento”.
E poi ancora: “E’ evidente la volontà di tenere lontana la stampa da quello che sta succedendo. Da una settimana sto cercando di seguire le operazioni militari degli israeliani: a Nablus, Jenin, Tulkarem. Sistematicamente non riesco a coprire questi avvenimenti o faccio molta fatica”.
Qualunque sia stato il motivo dell’attacco all’Hotel City Inn, Raffaele non viene ferito e il giorno dopo è nuovamente per le strade di Ramallah, la capitale temporanea di quei territori occupati che stentano a farsi chiamare Palestina.
Si trova nei pressi di Dawar Al-Manara, la piazza più importante della città. Le strade sono vuote, calpestate solo dalle scarpe dei guerriglieri palestinesi e dai cingolati israeliani. Raffaele mette da parte le macchine fotografiche e utilizza una piccolissima telecamera - una hand-held camera poco più grande di un pacchetto di sigarette - per seguire gli scontri tra un blindato israeliano e un manipolo di guerriglieri palestinesi armati di AK-47.
I guerriglieri sparano contro il blindato riparandosi immediatamente dietro l’angolo della strada. Il carro armato non risponde, probabilmente i soldati al suo interno prendono la mira per poter sparare contro il primo guerrigliero che si sporgesse dall’angolo.
Raffaele ha la telecamerina accesa. Si avvicina all’angolo, vuole vedere cosa fanno i soldati della Tzhal. Si sporge lievemente. Un secondo dopo è a terra, morente. Raffaele ha registrato la sua morte causata da una raffica di proiettili sparata dal carro armato israeliano.
Nel libro Bianchessi parla di “omicidio mirato”. Stessa cosa fa Amedeo Ricucci, allora giornalista del tg1 e testimone oculare della morte di Raffaele. Ma Ugo Tramballi de “Il Sole 24 Ore” la pensa in modo assai diverso.
Secondo Tramballi, quel giorno Raffaele commise degli errori: “Stava in mezzo a palestinesi armati ma non in divisa: portavano abiti civili come lui. E si sporse dall’angolo dal quale pochi istanti prima i palestinesi avevano sparato. Gli israeliani stavano solo aspettando che da lì riapparisse qualcuno. Appena Raffaele uscì, spararono”.
L’inchiesta sull’omicidio di Raffaele viene aperta dai magistrati di Milano Giuliano Turone e Massimo Baraldo, che chiedono di poter ascoltare i soldati in servizio intorno e dentro il carro armato. L’esercito e il governo israeliano rifiutano e si limitano a consegnare i risultati dell’inchiesta interna all’IDF, secondo cui la morte di Raffaele sarebbe stata un tragedia sì, ma un incidente, in quanto i soldati israeliani, non potendo riconoscere in Raffaele un cameraman, lo avrebbero scambiato per un palestinese pronto a sparare.
Nonostante la mia inesperienza sono propenso a pensarla come Tramballi. Mi rifiuto di colpevolizzare Raffaele Ciriello come ha fatto l’esercito israeliano - affermando “nonostante l’avvertimento e il divieto, il sig. Raffaele Ciriello entrava nella zona di combattimento e deliberatamente accompagnava un gruppo di palestinesi armati senza che fosse provvisto di abbigliamento che lo identificasse come giornalista” - perché come giustamente dice il giornalista de ‘Il Sole 24 Ore’: “sono errori che non dovremmo fare: ma chi lo insegna a noi cosa si può e non si deve fare al fronte?”
Il procedimento penale avviato dal Tribunale di Milano per l’uccisione del fotoreporter viene archiviato perché il governo israeliano si è sempre rifiutato di comunicare i nomi dei soldati coinvolti nell’uccisione di Raffaele e di farli comparire in un tribunale italiano. Questo rifiuto continua nonostante il trattato di collaborazione giudiziaria stipulato tra i due paesi.
Il fatto che il governo italiano non dia importanza a questo rifiuto, e che continui ad incrementare le esercitazioni e le collaborazioni militari con Israele, mi riempie di un’amarezza profonda, frutto non certo di un sentimento anti-Israeliano (non potrei assolutamente), ma dell’orgoglio italiano, della difficoltà di accettare il tipico laissez-faire italiano che offende l’Italia, gli italiani, Raffaele Ciriello e la sua famiglia.
Avrò sempre stima di Raffaele, sarà un mio nuovo punto di riferimento. Gli dedicherò una preghiera durante il mio prossimo viaggio a Ramallah. Nel frattempo non posso fare altro che dedicargli le parole che Salvatore Cusimano, direttore della Rai Siciliana, ha scritto nella copia di Passione Reporter regalatami durante la mia mostra fotografica sul terremoto de L’Aquila: “le foto hanno vita e tu hai mostrato che è possibile raccontarla con lo sguardo giusto”.
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 27 Dicembre 2010