20.09.2011 Alessandro Di Maio

Quelli della Primavera adesso attaccano Israele

Lo scorso venerdì, nelcuore della notte, un aereo speciale scortato dalle truppe scelte dell’esercito egiziano è decollato in tutta fretta dall’aeroporto del Cairo diretto a Tel Aviv. A bordo c’erano l’ambasciatore israeliano in Egitto, Yitzhak Levanon, la sua famiglia e tutto il personale della missione diplomatica.

Qualche ora prima una folla di manifestanti egiziani ha circondato e assaltato l’ambasciata israeliana; la polizia egiziana è intervenuta solo dopo ore in tenuta antisommossa per salvaguardare la missione diplomatica e il suo personale.

La protesta, iniziata alla fine della preghiera del venerdì da uno sparuto numero di persone, è cresciuta rapidamente, radunando davanti ai cancelli dell’ambasciata migliaia di manifestanti decisi a ottenere l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la sospensione del trattato di pace che dal 1979 garantisce stabilità alle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

La protesta viene dopo la morte di cinque guardie di frontiera egiziane, avvenuta il 18 agosto scorso al confine con Israele, durante un’azione militare israeliana diretta a fermare una serie di attentati compiuti a Eilat da un commando di terroristi di base in Sinai.

La protesta è degenerata in rivolta quando la folla, demolito il muro di protezione dell’ambasciata, si è introdotta nella missione diplomatica, gettando dalla finestra documenti e dépliant. Rimossa e bruciata anche la bandiera con la stella di David, proprio come due settimane prima, quando un ragazzo egiziano, incitato dalle grida e dagli applausi della folla, si era arrampicato fino al diciottesimo piano dell’edificio che ospita l’ambasciata per rimuovere lo stendardo. Il bilancio non ufficiale degli scontri è di tre morti e un migliaio di feriti.

A seguito della partenza dell’ambasciatore israeliano, sono aumentate le preoccupazioni internazionali per un Egitto che, dalla caduta di Mubarak, mostra un’insoddisfazione crescente nei confronti dello Stato ebraico.

«Nella storia delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi non si era mai arrivati a tanto», afferma Idan Barir, ricercatore presso la Scuola di Studi Storici dell’Università di Tel Aviv. «Fino a quando in Egitto non ci saranno nuove elezioni e un governo stabile, dovremo aspettarci qualsiasi cosa».

Il presidente americano Barack Obama ha mostrato solidarietà al governo di Benjamin Netanyahu e invitato le autorità egiziane a garantire la sicurezza delle sedi diplomatiche.

Il primo ministro egiziano, Essam Sharaf, ha offerto le proprie dimissioni, ma il consiglio militare, al momento unico vero detentore del potere in Egitto, le ha respinte confermando l’intenzione di proteggere le sedi diplomatiche straniere e assicurare il rispetto dei trattati internazionali presi, anche applicando in modo scrupoloso gli articoli della legge marziale in vigore da trent’anni.

Dietro i disordini del Cairo c’è anche l’esempio turco: i manifestanti chiedevano infatti ai governanti egiziani di fare come la Turchia, che ha espulso il rappresentante israeliano ad Ankara per la questione dell’attacco alla nave Mavi Marmara. La tensione fra l’esecutivo di Netanyahu e quello di Erdogan è altissima e il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha addirittura parlato di misure estreme anti turche, come sostenere il terrorismo curdo del Pkk e spingere per il riconoscimento del genocidio armeno a livello internazionale.

Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato dal quotidiano ‘Libero’ l’11 Settembre 2011.

Foto: Reuters