Operazione Soyuz 10-Salyut 1
In Sicilia il mese di maggio è mese di cambiamenti, speranze e idee. Fu proprio nel cambio di stagione che concepì l’idea di trasferirmi in Medio Oriente e lavorare da corrispondente per giornali italiani e stranieri.
Presso una casa cantoniera da anni dismessa, ascoltando il ronzio delle vespe e il cicalio delle cicale, ritenendo deboli le difese di un Diritto Privato scaltro quanto grande e pericoloso, mi immaginai in Medio Oriente come forse solo il nostro re, Federico II, lo Stupor Mundi, si immaginò prima di partire alla volta di Gerusalemme.
L’idea era semplice. Bisognava partire, trovare la forza e la passione per rimanere in Terra Santa e osservare, analizzare e scrivere per raccontare. Fin dalla bozza l’idea profumava di sfida più di sfizio, appariva più un investimento che una vacanza. In poche parole, la realizzazione dell’idea sarebbe stata una virata a Levante, di quelle che si fanno girando a 180 gradi il timone e alzando le vele per gonfiarle col vento di poppa.
Dalla complessità della valutazione e traduzione dell’idea in progetto deriva la necessità di definire ‘operazione’ l’intero ingranaggio e di specificarne il contenuto con una denominazione “alla Di Maio”, come direbbero i miei ex colleghi d’università.
Quando mi diedero la corona d’alloro, infatti, ritenevo chiuse le operazioni Soyuz che insieme a quelle Sputnik, Vostok e Voskhod avevano caratterizzato i miei appuntamenti formali più importanti dal 2008 al 2010. Poi l’illuminazione accecante sulla via di Damasco, la decisione di partire e provare, di continuare il Programma Soyuz innestandolo di novità [Salyut 1] e dare vita all’Operazione Soyuz 10-Salyut 1.
Scialacquate mille parole, andiamo al pratico. Ogni volta che c’è seriamente da rimboccarsi le maniche il sottoscritto se ne esce con operazioni dai nomi russi e poco conosciuti. Si tratta di paralleli russi presi dal programma spaziale sovietico, da me considerato il più entusiasmante fino ad oggi.
Perché sovietico e non americano o europeo? Sono un fanatico dell’Unione Sovietica? Un ‘ostalgico’? No, semplicemente perché a mio modo di vedere i sovietici ci mettevano la poesia nella scelta dei nomi delle loro missioni spaziali.
Volete degli esempi? ‘Sputnik’ significa ‘Compagno di viaggio’ e fu un programma che portò il primo satellite artificiale ad orbitare nello spazio; ‘Vostok’ significa ‘Oriente’ e fu un programma di missioni che portò il primo uomo [Juri Gagarin] nello spazio; ‘Voskhod’ significa ‘Sorgere del sole’ e fu un programma di missioni che portò per la prima volta nello spazio più uomini contemporaneamente e poi la prima donna; ‘Soyuz’ significa ‘Unione’ e fu un lunghissimo programma spaziale sovietico (ancora oggi operante) con l’intenzione di portare il primo uomo sulla Luna [obiettivo chiaramente fallito a vantaggio del programma statunitense Apollo].
Come i nomi di queste missioni hanno scandito la storia della scoperta dello spazio, oggi scandiscono la mia vita: patente, esami universitari, concorsi, internship, selezioni, contratti, viaggi, iscrizione all’Albo dei giornalisti, incontri con donne amate. Sono tutte esperienze da me considerate missioni, operazioni portate a termine con la mentalità del “tutto o niente”, del “chi si ferma è perduto”, di “vittoria o morte”, di “non tornare indietro nemmeno per prendere la rincorsa”.
Infantile? Probabilmente, ma non sono pochi gli storici che attribuiscono importanti margini di risultato alla convinzione, alla passione e alla carica sprigionata a favore dei soldati in battaglia o degli atleti alle Olimpiadi da un inno, da una bandiera o da un motto.
Mentre vi scrivo, l’Operazione Soyuz 10-Salyut 1 progredisce lentamente. Se dovessi fermarmi ai risultati storici-reali delle operazioni Soyuz 10 e Salyut 1 potrei fare immediatamente le valigie e tornarmene a casa perché nessuna delle due ebbe successo.
Salyut 1, infatti, fu la prima Stazione Spaziale delle storia. Per sei mesi orbitò attorno alla Terra, ma non riuscì ad ospitare il Soyuz 10 che si agganciò sì, ma male, senza offrire cioè quella sicurezza necessaria a far entrare nella Stazione Spaziale i tre cosmonauti sovietici.
Ma è il bello è proprio questo: utilizzare ad esempio le missioni spaziali sovietiche portate positivamente a termine, e servirsi della voglia di riscattare le missioni mai riuscite. In questo caso il mio Salyut 1 è il Medio Oriente - incrocio di continenti, genti, eserciti e profeti; la mia navicella Soyuz 10, la sfida a vivere e lavorare da giornalista, sfruttando contrasti e guai di una terra martoriata da popolazioni dotate della stessa quantità e qualità di ragioni e torti.
L’obiettivo della missione è raggiungere Salyut 1, la mia prima Stazione professionale, agganciarmi e trovare gli strumenti per entrarci e viverci.
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 5 Dicembre 2010