04.01.2011 Alessandro Di Maio

Letture di Storia nella ummah araba

Dal mio arrivo in Terra Santa ho avuto modo di vedere pubblicati alcuni dei miei scritti e delle mie fotografie, ma ho ritrovato il piacere - perso al secondo anno d’università, quando manuali, codici, dispense e saggi presero il posto di romanzi, biografie e libri storico-strategici - di leggere libri su libri.

In questo breve post - breve perché le impellenze da corrispondente sprovvisto delle più piccole garanzie sono fitte e intrecciate e non lasciano molto spazio al tempo libero - vorrei pubblicare una lista di piccole informazioni da me acquisite leggendo due tra i libri in lingua italiana portati con me dalla Sicilia.

Il primo è “Storia di Israele”, un escursus storico, politico e filosofico scritto dal professore israeliano Eli Barnavi; l’altro “Breve storia dei popoli arabi”, un manuale storico scritto dal professore Sergio Noja che va dall’Arabia preislamica al sogno infranto dell’ummah arabo-islamica.

Taglio preciso, scrittura scorrevole, parole scelte con cura per due storie presentate con il grandangolare dello studioso e dell’analista, e addolcite con un fitto intreccio di dettagli interessantissimi.

Il libro di Barnavi è stato chiaro esplicatore di un sogno - quello degli ebrei - che ha trovato nell’ideologia sionista la chiave di volta per esprimersi e realizzarsi, dando una patria ad un terzo della popolazione giudaica mondiale e spezzando l’ummah islamica che dal Maghreb all’Indonesia tollerava nel proprio tessuto sociale solo piccole e deboli minoranze di cristiani ed ebrei.

Barnavi descrive con eccellente precisione fatti che ben si intrecciano con quelli raccontati da Amos Oz ne “Una storia d’amore e di tenebra” e che seguono il filo unico che ha modificato i rapporti di forza del Vicino Oriente; il tutto in una linea del tempo che parte dai pogrom dell’Europa orientale alla speranza di pace del 1992, passando per il voto dell’Assemblea delle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina e le tante guerre israelo-arabe.

Un libro che racconta successi ed insuccessi del sionismo. Il sogno infranto di una società socialista egualitaria, la realtà dei compromessi tra laici e religiosi, la dolorosa responsabilità di aver costruito un paese sul dolore di un’altra popolazione, la necessità di farsi accettare e vivere insieme, da pari, agli altri Stati.

Dopo “La storia di Israele” la lettura del manuale di Sergio Noja sui popoli arabi era dovuta. Non soltanto perché ai libri e alla conoscenza non c’è mai limite, ma anche perché in una terra polarizzata come questa i giornalisti devono anelare alla neutralità più che nei normali ambienti europei, e seguire sempre la formula latina della par condicio.

Il manuale sulle popolazioni arabe ha illuminato una parte della carta geografica mondiale che non avevo ignorato ma che sconoscevo quasi totalmente. Mi ha colpito soprattutto apprendere la vicinanza tra cultura pre-monoteistica dell’Arabia, istituti religiosi ebraici e islamici, e parole e tradizioni ancora vive nelle nazioni del Vicino e del Medio Oriente.

Un esempio islamico potrebbe essere la Caaba, la grande pietra nera situata al centro de La Mecca. Adorata oggi dai fedeli musulmani che in pellegrinaggio nella città santa le girano attorno, essa era adorata ancora prima che Allah parlasse a Maometto.

E che dire delle parole ‘assassino’ e ‘Cohen’? La prima deriva dalla parola della droga [Hashish] di cui venivano imbottiti coloro che nel mondo arabo erano chiamati a compiere assassini politici, la seconda è oggi uno dei cognomi ebraici più diffusi, e individua coloro che Dio ha chiamato per le celebrazioni religiose e per la protezione del Tempio di Gerusalemme. Ebbene, migliaia di anni fa, prima ancora che Abramo raggiungesse la Palestina su indicazione di Dio, esso designava i sacerdoti dei culti politeistici della penisola arabica.

Ma ciò che mi ha più impressionato è la spiegazione politica che dà Noja sulle motivazioni che spinsero i leader arabi a costituire il fronte del no all’esistenza dello Stato di Israele.

“Non furono solo e prevalentemente motivi territoriali e dinastici a determinare l’ostilità del mondo arabo, ma sottili preoccupazioni sociali. Lo Stato di Israele - scrive Noja - costituiva la pietra di paragone per tutto il Vicino Oriente; ogni contadino arabo poteva, in un giorno di viaggio, vedere di persona quale fosse la vita del contadino d’Israele: così per gli operai, come anche per gli studenti. La differenza che allora appariva era enorme, e a tutto vantaggio di Israele. In effetti - continua - una cosa era fare il paragone con il modo di vita del lontano mondo occidentale, che del resto era ben conosciuto solo nelle città, altra cosa era la possibilità di paragone de visu con la vita di un mondo confinante che dimostrava di godere tutti i vantaggi di una legislazione sociale moderna”.

Tuttavia, trovandomi in Terra Santa non dimentico il problema palestinese. A dire il vero non lo hanno dimenticato nemmeno gli autori dei due libri letti. Solo che esso, pur costituendo oggi un fattore fondamentale per la conoscenza e la pacificazione della regione, non costituisce il fulcro centrale né della storia di Israele, né di quella popoli arabi, e per questo prometto di parlarne in un'altra occasione.

Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 1 Novembre 2010