Le sorprese della Chinatown di New York
Chinatown è un quartiere che mi ha impressionato nonostante avessi già visitato qualcosa di simile in altre metropoli internazionali. Quello di New York è un quartiere sovraffollato, con mercati ittici e ortofrutticoli ad ogni angolo, con le strade di cemento bagnate e piene di scatole vuote.
Chinatown la vidi così. A marzo era ancora addobbata per i festeggiamenti passati del capodanno cinese e con i venditori di pesce che, dopo avermi visto di sottocchio, gridavano “No pictures, no pictures”.
Impegnati a contrattare con il cliente, si rivolgevano a me solo indirettamente, senza guardarmi. Il cliente sceglieva il pesce vivo da una vasca in vetro. Il venditore lo catturava per inserirlo in una busta di plastica trasparente e scagliarlo su di un muro delle retrovie del negozio, dove un macellaio lo tagliava, pulica e confezionava.
Nonostante i ripetuti richiami, continuai a riprendere il loro lavoro con la telecamera e scattare fotografie. “No pictures, no pictures”, ripeterono. I clienti mi guardavano, io continuavo facendo finta di non capire. Alla fine nessuno si arrabbiò.
A Chinatown ho avuto modo di visitare per la prima volta un tempio buddista. Per entrare bisognava fare un’offerta in denaro e riempire un modulo. Un biglietto verde con la faccia di George Washington bastò a completare la prima formalità, un pizzico di pazienza per il modulo completò anche la seconda. Poi attraversai gli archi rossi e gialli ed entrai nel tempio.
L’incenso, i fiori, le statue di Buddha mi conquistarono. La discrezione dei credenti che sporadicamente entravano nel tempio fece il resto. Donne delicate e uomini sottili entravano, si posizionavano di fronte la statua principale del Buddha e con una bacchetta d’incenso fumante tra le mani giunte, chinavano più volte il busto verso l’icona.
Un’anziana signora entrò per sostituire fiori freschi a quelli secchi. I gesti, le movenze mi sembrarono le stesse di mia nonna impegnata ogni domenica a fare lo stesso nella cappella tombale di famiglia.
Una giovane ragazza asiatica entrò nell’atrio principale del tempio. Vestita con un abito bianco avorio, piuttosto leggero e largo, la ragazza portava capelli neri, lisci tagliati sulle spalle. Si avvicinò alla statua, si guardò in giro, mentre io discreto mi accostai alla parte destra del tempio.
Prese la bacchetta di incenso fumante tra le mani, chiuse gli occhi e si inchinò ad angolo retto davanti al Buddha. Lo fece più volte.
Io la guardavo con la bocca semichiusa, con la testa leggermente cadente sulla parete. Poi abbassai lo sguardo in cerca della linea delle mutandine. La sorpresa fu grande quando vidi delle macchioline rosse. La ragazza aveva le mestruazioni, aveva una perdita. Mi imbarazzai moltissimo ad aver fatto quella scoperta proprio in un tempi buddista. Non sapevo come comportarmi, se avvertirla o lasciar fare.
Vidi i miei colleghi abbandonare il tempio, quando la ragazza, terminata la preghiera si avviò verso l’uscita. Mi staccai dalla parete del tempio e benché fossi più propenso a lasciar correre, la chiamai con un cenno.
Lei si voltò, diede uno sguardo alla borsa della telecamera che portavo sulla spalla e riguardandomi negli occhi mi sorrise. Mi avvicinai, abbassai la testa e avvicinandomi all’orecchio della giovane le dissi timoroso quanto avevo visto. Non mosse la testa, non disse nulla. Non cambio nemmeno espressione facciale. Abbassò il braccio sinistro verso il punto del vestito che le avevo indicato, mi guardò negli occhi e si morse il labbro inferiore.
Mi ringraziò in inglese, sottovoce, e continuò verso l’uscita. Io non mi mossi, mi fermai a guardarla lasciare il tempio, mentre accanto a me, l’anziana signora che mi fece ricordare mia nonna, si sedette stanca su una sedia in legno.
Sorrisi anch’io, tirai su le spalle, presi due quarti di dollaro e li inserì in una scatola di cartone. Poi affondai la mano destra in una cesta piena di bigliettini gialli ripiegati e tenuti chiusi da piccoli elastici dello stesso colore. Presi un biglietto, lo aprì, lo lessi. Secondo Buddha il mio futuro poteva riassumersi nel numero 8.
Post pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 21 Aprile 2007