Le delusioni di un giovanotto che va in America
Camminare per le strade della capitale del mondo è bello, farlo a ritmo di musica è ancora meglio. La vista dei grattacieli di cemento e vetro, le corse dei taxi gialli, i megaschermi informativi sull’andamento della borsa e sulle ultimissime news mondiali si gustano meglio al ritmo di musica.
Ciò vale anche per una Manhattan coperta di bianco e pulita da un freddo gelido e asciutto, per la Manhattan scoperta a Marzo nel mio primo viaggio negli Stati Uniti d’America, “il paese dalle strade d’oro”.
Camminando per le sue strade, incrociando ricchi e morti di fame, mi risultava difficile credere di essere nella capitale dell’impero mondiale più grande e potente che storia abbia mai forgiato.
New York City mi risultò normale. Non mi sorprese, non mi scandalizzò, si dimostrò incapace di stupire chi come me aveva avuto la fortuna di viaggiare e conoscere metropoli simili. La Grande Mela poteva anche non dormire mai, ma di certo mi fece dormire molto.
Se non fosse per la combinazione di musei straordinari, teatri, locali notturni, sobborghi fermi ai migliori anni americani e luoghi storico-politici di notevole importanza mondiale, il centro della città di New York City potrebbe essere scambiato per quello di altre grandi metropoli di cemento e vetro.
La skyline mi risultò tanto disordinata quanto più mi soffermavo sull’assenza delle Torri Gemelle, ma non potevo trascurare il fatto che per milioni di immigrati i grattacieli circondati dall’acqua e la piccola statua della libertà erano stati i primi elementi della realizzazione di un sogno.
Wall Strett, centro finanziario del mondo intero, cuore dell’infarto del 1929, casa di scommettitori indisciplinati sembra a misura d’uomo. Piccola, fredda, quasi anonima, contrasta con le aspettative dei turisti cresciuti a suon di film americani e telegiornali che parlano d’America.
La vera delusione fu Little Italy. Quasi interamente inglobata dall’attivissima Chinatown, il quartiere italiano di New York oggi è solo una strada con bar, ristoranti e pizzerie e qualche bandiera italiana. Lì la laboriosità italiana non esiste più, è solo storia ricordata dalle scritte dei palazzi che sopra l’ingresso principale recano i nomi dei costruttori e la data di inaugurazione.
Post pubblicato per la prima volta il 12 Aprile 2007 su Alexander Platz Blog