Le Brigate al-Qassam lanciano missili contro Gerusalemme
Articolo pubblicato su l’Huffington Post Italia il 16 Novembre 2012.
Quando suona la sirena d’allarme missilistico non sai che fare. Ti affacci alla finestra sapendo di sbagliare, guardi il cielo cercando la scia del missile e osservi la strada nella speranza che qualcuno possa indicarti il bunker più vicino.
A metà allarme ti accorgi di essere solo. Accanto a te corrono tutti, ognuno per la sua strada. Poi prendi il cellulare e cerchi di chiamare qualcuno mentre su Twitter lanci il tuo grido: “Allarme missile a Gerusalemme”.
L’allarme ha zittito tutti, anche la chiamata alla preghiera dei muezzin delle moschee e il suono delle campane delle chiese. È stato un suono lungo, alternato e reso profondo dall’eco delle strade vuote per lo Shabbat ebraico. Quando senti l’esplosione, distantissima ma percettibile solo perché la città è atrofizzata e muta, tiri un sospiro di sollievo. Per questa volta, sei salvo.
Non è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere. In qualche occasione precedente, sapendo di essere sotto tiro perché nei pressi della Striscia di Gaza, mi sentivo, almeno psicologicamente, pronto a reagire in modo dignitoso.
Oggi a Gerusalemme mi sono trovato impreparato al punto da avvisare un leggero tremolio alle mani. Alta sui Monti della Giudea e distante quasi ottanta chilometri dalla Striscia di Gaza, consideravo Gerusalemme una città impossibile da raggiungere da qualsiasi missile a disposizione delle milizie islamiste operanti a Gaza.
Se non per le caratteristiche geografiche della città, ritenevo Gerusalemme al sicuro dai razzi perché abitata da una maggioranza di palestinesi-musulmani e perché terza città santa dell’Islam. D’altronde era dal 1970, da quando Israele combatteva l’Egitto nella Guerra d’Attrito, che Gerusalemme non ha più subito un attacco missilistico.
Uno dei due missili Fajr-5 lanciati, ha colpito un’area aperta nei dintorni di un villaggio arabo. Dell’altro non si hanno ancora notizie. Mi chiama Alaa, una collega palestinese: “L’allarme è suonato mentre ero alla Porta di Damasco e sono stata l’unica a correre e rifugiarsi, gli altri hanno continuato la propria vita come se nulla di strano accadesse attorno a loro, come se quei missili non li potessero colpire perché palestinesi”, racconta al telefono.
Sceso in strada, mi soffermo all’ingresso di un caffe. Le canzoni alla radio sono continuamente interrotte dalle informazioni di guerra: “codice rosso a Sderot, codice rosso ad Askelon, codice rosso a Be’er Sheva…”.
A Gerusalemme non ci sono carri armati, né soldati o spari, ma la Città Santa è in guerra. Tutti non fanno altro che parlare di missili, morti e di un eventuale intervento via terra dell’esercito israeliano. Alla radio militare un commentatore consiglia agli ascoltatori di non pubblicare sui social networks informazioni dettagliate sui luoghi d’impatto perché rischierebbero di aiutare i miliziani palestinesi a calibrare meglio i prossimi lanci.
Dopo i quattro missili lanciati contro Tel Aviv, quanto accaduto oggi a Gerusalemme conferma ancora una volta l’acquisizione di batterie di missili balistici a lunga gittata da parte dei miliziani islamisti della Striscia di Gaza.
Non più razzi di mortaio o Qassam fabbricati dagli stessi miliziani della Striscia, ma missili Grad aggiornati a una gittata di 60 km e razzi Fjar-5 di produzione iraniana capaci di raggiungere obiettivi a distanze superiori agli 80 km.
Con l’attacco a Gerusalemme, Hamas ha dimostrato di avere quasi la metà del territorio israeliano sotto il tiro, ma ha dato un motivo in più al governo israeliano per incrementare gli attacchi aerei sulla Striscia e pianificare un’eventuale offensiva terrestre.
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato su l’Huffington Post Italia il 16 Novembre 2012.
Photo: REUTERS/Nir Elias