L’affaire Sheikh Jarrah tra le strade di Tel Aviv
Lo scorso venerdì 6 Agosto le strade di Tel Aviv si sono colorate di rosso e verde ancora una volta. Le bandiere dei partiti e dei movimenti pacifisti e di sinistra hanno attraversato i grattacieli e le case in stile coloniale del centro di Tel Aviv. Questa volta per una manifestazione organizzata in protesta alla possibile espulsione di famiglie Arabe palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est.
Organizzata da un gruppo di cittadini israeliani riuniti nel “Movimento di Solidarietà con Sheikh Jarrah”, e con l’appoggio di studenti, arabi-israeliani e partiti e movimenti israeliani di sinistra radicale, la marcia ha avuto luogo non solo a Tel Aviv, ma anche ad Haifa, Be’er Sheva e Gerusalemme Ovest.
La protesta coincide con il primo anniversario dell’allontanamento da Sheikh Jarrah di quattro famiglie palestinesi. “E’ un evento di solidarietà in un giorno di solidarietà verso quelle famiglie e quelle persone che vivono ancora con la paura di essere cacciati dalle proprie case da un giorno all’altro”, afferma Roi, un giovane attivista israeliano di 30 anni che partecipa alla marcia.
Sheikh Jarrah è un’area residenziale situata poco a nord dalla Città Vecchia di Gerusalemme, vicino alla linea di confine che divideva Gerusalemme Ovest da Gerusalemme Est. Costruito sulle pendici del Monte Scopus nel periodo delle crociate, il quartiere prende il nome dal medico personale di Saladino, il condottiero musulmano che tolse la Città Santa ai Crociati.
Durante i sanguinosi combattimenti che seguirono la dichiarazione di indipendenza di Israele nel 1948, numerosi Arabi furono costretti ad abbandonare le loro case di Giaffa, Acri e Haifa diventando rifugiati. Per loro fu al-nakba, la catastrofe.
Stessa cosa accadde ad alcuni ebrei residenti in quella parte di territorio che dopo il 1948 entrerà a far parte del Regno di Giordania. Ebrei dei quartieri di Gerusalemme Est - a maggioranza musulmana e sotto amministrazione giordana - furono costretti a lasciare case e possedimenti, e trasferirsi a Ovest della linea verde.
Da Sheikh Jarrah dipartirono decine di famiglie ebree. Nel 1956, con l’obiettivo di togliere il maggior numero possibile di rifugiati palestinesi dalle tende e trovargli una sistemazione stabile, il governo giordano e l’agenzia ONU per i rifugiati in Medio Oriente (UNRWA) sistemarono qui, in un’area di 70 acri al centro del quartiere, 28 famiglie profughe palestinesi in cambio della rinuncia del loro status di rifugiati.
Ma quando nel 1967 Israele conquistò e annesse Gerusalemme Est, la nuova situazione legale diede la possibilità agli ebrei allontanati nel 1948 di rivendicare la proprietà sugli acri di terra lasciati venti anni prima e che in parte erano stati occupati per la costruzione delle case destinate ai rifugiati palestinesi.
Nel 1972, presentando dei documenti di proprietà risalenti all’epoca dell’Impero Ottomano, alcune organizzazioni ebree israeliane hanno reclamato i loro diritti di proprietà sugli ettari di terreno su cui erano state costruite le case delle 28 famiglie palestinesi. Da allora la questione è passata prima sul lato legale e poi su quello politico, facendosi sempre più complessa.
La Corte Suprema Israeliana ha parzialmente riconosciuto le richieste della parte ebraica “ma alcune istanze sono basate su documenti falsi presentati solo per cercare di aumentare il più possibile la presenza ebraica nel quartiere”, afferma Javier, un giovane attivista Israelo-Uruguayano.
Tra il 2008 e il 2009, tre famiglie palestinesi di ex rifugiati, costituite in più di 60 persone, sono state costrette a lasciare le proprie case e a seguito di una decisione della Corte Suprema Israeliana. Il loro posto è stato preso da coloni ebrei quasi immediatamente trasferitisi.
Oggi circa 3000 palestinesi vivono nel quartiere. La restante popolazione è in maggioranza ebrea. “La vita quotidiana nel quartiere è estremamente tesa, le persone si sospettano a vicenda e per la più piccola incomprensione necessitano dell’intervento della polizia”, ha continuato Javier.
L’annessione israeliana di Gerusalemme Est non è mai stata riconosciuta dalla Comunità Internazionale e rigettata dalle risoluzione ONU. Inoltre, nel 1950 il parlamento israeliano (Knesset) ha approvato la “Absentees’ Property Law”, una legge che previene i rifugiati palestinesi dalla possibilità di reclamare e rientrare in possesso delle loro vecchie case.
Ciò si legge con amara ironia se si pensa che non si riconosce il diritto al ritorno ai palestinesi del 1948, ma vi sono coloni israeliani che invocano per sé il diritto al ritorno nelle terre di Sheikh Jarrah perse con l’indipendenza.
“Questo è il cuore della questione a Sheikh Jarrah - afferma Roi. Se le famiglie palestinesi saranno evacuate dal quartiere sarà chiaro a tutti che Israele usa due pesi e due misure [tra il diritto dei palestinesi al ritorno ufficializzato dalle Nazioni Unite e il diritto degli ebrei al ritorno nelle proprietà perse nel 1948], creando situazioni de facto sul terreno per diminuire il carattere arabo dell’area e cambiare la faccia di Gerusalemme Est”.
Sheikh Jarrah è oggi un chiaro elemento di contrasto che fa pienamente parte del conflitto Arabo-Israeliano, ma che grazie alla rivitalizzazione del Movimento Israeliano per la pace potrebbe presto costituire un fattore di scontro interno alla politica e alla società israeliana.
Uno dei risultati concreti della questione è stato il rafforzamento dei partiti e dei movimenti della sinistra radicale israeliana. Dal fallimento degli accordi di Oslo e dall’inizio della Seconda Intifada nel 2000, la sinistra israeliana sembrava essere scomparsa, ma le caratteristiche di Sheikh Jarrah - situata non propriamente in Israele e non inaccessibile e violenta come i territori della Cisgiordania - ha attratto moderati e studenti israeliani unitisi agli attivisti che ogni venerdì si incontrano tra le strade di Gerusalemme Est per manifestare.
A Tel Aviv, alla fine della Marcia per la solidarietà a Sheikh Jarrah, un piccolo gruppo di giovani israeliani muniti di bandiere israeliane e riuniti in un sit-in a Sderot Rothschild, la strada più prestigiosa di Tel Aviv, esprimono il loro dissenso nei confronti della manifestazione pro-palestinese.
Sotto il sole cocente del Medio Oriente, tenendo un gelato in una mano e un poster nell’altra, questi giovani distribuiscono volantini e diffondono i loro slogan ai passanti e agli automobilisti bloccati nel traffico.
“Questa è la nostra protesta contro la loro protesta - ha dichiarato uno dei protestanti indicando la coda della marcia del Movimento in Solidarietà con Sheikh Jarrah. Loro sono con i palestinesi, noi siamo con e per gli israeliani. Loro vorrebbero dare Gerusalemme e tutte queste case qui a Tel Aviv agli arabi, noi pensiamo che Israele debba rimanere un paese ebraico. Quei sinistroidi sono dei traditori di Israele”, ha detto.
Ritornando al sit-in, David Ben Yishai - questo il suo nome di battaglia, preso direttamente dalla tradizione ebraica di Re Davide - ha alzato in aria un cartellone scritto a pennarello e incontrando i passanti ripeteva lo slogan: “Non possiamo dare Gerusalemme ad Hamas. E’ già abbastanza quello che c’è a Gaza!”
Articolo pubblicato su LaSpecula Magazine il 10 Agosto 2010.