01.01.2011 Alessandro Di Maio

L’acqua fresca del fiume Mela

Ogni due chilometri abbandonavo la strada sterrata per il letto del fiume. La polvere che camminando rialzavo nell’aria lasciava il posto alle terra scura e umida del letto del fiume Mela. L’acqua brillava da lontano e la vegetazione rigogliosamente verde rendeva pittorico tutto il naturale: i monti verdi, gli arbusti gialli e i fiori viola, le rocce a strapiombo e quelle macchiate dal ferro che li compone, il sole che si riflette nell’acqua e le caverne scavate nella roccia durante il Secondo Conflitto Mondiale, i piccoli rami trasportati dalla forza del torrente e le pietre del fiume, grigie, tendenti al bianco e levigate come uova.

"L’acqua del Mela è cristallina", pensavo giunto a sentire gocce d’acqua sui polpacci. Traspariva tutto come la personale voglia di spogliarmi e sdraiarmi tra le pietre per sentire l’acqua attraversarmi il corpo e tonificarlo dopo ore di cammino sotto il sole del primo pomeriggio siciliano.

Ricordo di aver pensato che se i Nebrodi sapessero la fine che fa l’acqua fresca e pura che ogni giorno producono, sceglierebbero di farci morire di sete. Perché creare acqua tanto meravigliosa e sforzare a tal fine le viscere della propria terra, se a valle essa diviene calda, schiumosa, inquinata, puzzolente?

Presi un grosso masso e lo posizionai a bordo fiume. Mi sedetti, tolsi scarpe e calze, e immersi i piedi nell’acqua gelata provando una sensazione paradisiaca. Lo sporco dei piedi scomparve e questi divennero rossi per il freddo.

Il rumore della corrente era assordante e se non avessi lasciato gli occhi aperti, sarebbe stato difficile accorgersi del gregge di pecore che un vecchio pastore con la barba e un vestito blu stava portando a bere.

Testo tratto dal "Diario di una camminata tra i Nebrodi" del 2005 e pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 31 Maggio 2007