L’acqua fresca del fiume Mela
Ogni due chilometri abbandonavo la strada sterrata per il letto del fiume. La polvere che camminando rialzavo nell’aria lasciava il posto alle terra scura e umida del letto del fiume Mela. L’acqua brillava da lontano e la vegetazione rigogliosamente verde rendeva pittorico tutto il naturale: i monti verdi, gli arbusti gialli e i fiori viola, le rocce a strapiombo e quelle macchiate dal ferro che li compone, il sole che si riflette nell’acqua e le caverne scavate nella roccia durante il Secondo Conflitto Mondiale, i piccoli rami trasportati dalla forza del torrente e le pietre del fiume, grigie, tendenti al bianco e levigate come uova.
"L’acqua del Mela è cristallina", pensavo giunto a sentire gocce d’acqua sui polpacci. Traspariva tutto come la personale voglia di spogliarmi e sdraiarmi tra le pietre per sentire l’acqua attraversarmi il corpo e tonificarlo dopo ore di cammino sotto il sole del primo pomeriggio siciliano.
Ricordo di aver pensato che se i Nebrodi sapessero la fine che fa l’acqua fresca e pura che ogni giorno producono, sceglierebbero di farci morire di sete. Perché creare acqua tanto meravigliosa e sforzare a tal fine le viscere della propria terra, se a valle essa diviene calda, schiumosa, inquinata, puzzolente?
Presi un grosso masso e lo posizionai a bordo fiume. Mi sedetti, tolsi scarpe e calze, e immersi i piedi nell’acqua gelata provando una sensazione paradisiaca. Lo sporco dei piedi scomparve e questi divennero rossi per il freddo.
Il rumore della corrente era assordante e se non avessi lasciato gli occhi aperti, sarebbe stato difficile accorgersi del gregge di pecore che un vecchio pastore con la barba e un vestito blu stava portando a bere.
Testo tratto dal "Diario di una camminata tra i Nebrodi" del 2005 e pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 31 Maggio 2007