La mia famiglia Polak
Sichelschnitt è un termine tedesco che sta per “colpo di falce”. Era il nome in codice che i nazisti diedero alla Campagna di Francia, ovvero all’invasione di Belgio, Olanda, Lussemburgo e Francia, iniziata il 10 Maggio 1940 e terminata nel Giugno successivo con l’occupazione tedesca del futuro Benelux e della Francia nord-occidentale, con l’annessione di una porzione di Francia orientale e con l’istituzione della Repubblica di Vichy, più volte definita Francia libera ma di fatto asservita ai voleri di Hitler.
Da quel 10 Maggio i cambiamenti non si fecero attendere per nessuno. Se gli inglesi tremavano all’idea di avere i nazisti dall’altro lato della Manica, olandesi e francesi, calpestati dallo stivale germanico, dimenticarono tranquillità, imprenditoria e romanticismo per immergersi negli incubi neri e grigi delle uniformi tedesche.
Mussolini decise di attaccare l’agonizzante Francia inviando un contingente sulle Alpi alla conquista di piccoli villaggi montani; Roosevelt e Churchill velocizzarono i preparativi per una guerra frontale contro Hitler.
E la popolazione giudaica dell’Europa occidentale appena conquistata dal Führer? Alcuni lasciarono l’Europa per Stati Uniti e Palestina, altri si nascosero nelle soffitte, altri erano convinti che per quanto brutali i nazisti fossero sempre degli uomini con cui poter parlare e mettersi d’accordo.
Probabilmente la famiglia Polak la pensò così. Religiosi com’erano, consideravano i nazisti degli uomini indottrinati all’odio, ad un sentimento umano che per quanto estremizzato fino alla follia li rendeva umani e quindi possibili interlocutori di un dialogo, anche se limitato alla tecnicità e all’opportunismo della compravendita della propria incolumità.
Alla famiglia Polak mi congiunse una finta carta d’identità del capo famiglia che ricevetti gratuitamente a scopo educativo durante la visita allo United States Holocaust Memorial Museum, il principale museo dell’Olocausto degli Stati Uniti.
Prima di inoltrarmi nel freddo buio delle sale espositive, fui invitato a prendere una qualsiasi tra le migliaia di schede di carta simili a documenti d’identità accumulate su un tavolo all’ingresso degli ascensori.
Ne presi una qualsiasi. Era la numero #3768, fatta di carta ruvida molto piacevole da toccare. Esitai prima di aprirla. Avrei preso conoscenza dei brandelli di una vita spezzata tanti anni prima. Era una cosa non di poco conto. Poi la aprii.
Nella prima pagina vi era la foto in bianco e nero di un signore di mezza età, con capelli corti probabilmente grigi, occhiali tondi, giacca, camicia e cravatta. Si chiamava Frederik Polak ed era nato ad Amsterdam nell’Agosto del 1883.
Allevato in una religiosa famiglia ebraica di Amsterdam, Frederik ebbe una felice e spartana infanzia. Grazie allo stipendio del padre - copista di testi sacri – riuscì a studiare contabilità diventando in poco tempo un noto ragioniere.
Quando suo padre morì, Frederik contribuì al sostentamento della madre, delle tre sorelle ed del fratello cieco. Ma quando alla metà degli anni ’20 sposò Grietje - donna nata nell’agosto 1883 da un’osservante famiglia ebraica - egli creò il proprio nucleo famigliare composto da quattro figli, un maschio, Jacob, e tre femmine, Julia, Betty e Liesje.
Uniti come ai tempi quando parola e il senso di ‘famiglia’ dava la pelle d’oca, i Polak amavano celebrare il sabato e tutte le festività ebraiche, commentare le loro giornate e scambiarsi opinioni.
Il figlio Jacob, dagli amici chiamato Jaap, nacque ad Amsterdam il 31 Dicembre del 1912 e fino all’età di dodici anni frequentò la scuola elementare ebraica per poi studiare contabilità all’istituto commerciale della capitale. Ottenuto il diploma, dal 1931 al 1932 lavorò al Carlton Hotel, un distinto albergo al centro di Amsterdam che egli stesso definì “un ambiente cosmopolita, punto d’incontro tra persone molto interessanti”, ma che considerò sempre un lavoro temporaneo in attesa di diventare ufficiale pubblico contabile.
Julia nacque il 17 Luglio 1914. Come il fratello studiò alla scuola ebraica ma invece di specializzarsi in materia fiscale, trovò grande piacere e profitto nello studio dell’yiddish, la lingua parlata dagli ebrei della diaspora dell’Europa centro-orientale. Agli inizi degli anni trenta, come leader della gioventù sionista, Julia presentò al pubblico ebraico del quartiere l’idea di creare in Palestina la casa degli ebrei.
Nel 1937 Julia si fidanzò con un giovane sionista che di cognome andava Bolle con il quale nel 1938 si sposò. La giovane coppia prese parte alla “hachshara”, il programma che preparava al lavoro agricolo i giovani interessati a raggiungere la Palestina e fondare lo Stato di Israele.
Nello stesso anno Jaap superò l’esame finale per diventare ragioniere ed entrare come praticante nell’impresa contabile del padre. Nonostante il supporto di Jaap e lo stipendio della madre Grietje che lavorava in una scuola elementare ebraica, gli ingressi economici famigliari furono sempre irregolari e bassi soprattutto perché Frederik lavorava spesso senza compenso per organizzazioni caritative e religiose.
Nel 1940, violando la dichiarazione di neutralità di Amsterdam, i tedeschi invasero i Paesi Bassi e promossero una politica anti-giudaica che iniziò con la schedatura della popolazione semita e terminò nel 1942 con le deportazioni nei campi di concentramento.
I tedeschi sfruttarono la capacità contabile di Frederik per la schedatura degli ebrei, e per questo gli evitarono la deportazione fino al Giugno 1943, quando Frederik e Grietje furono separati dai figli e deportati al campo di smistamento di Westerbork, a dieci chilometri a nord del villaggio di Hooghalen, nel nord-est dell’Olanda.
Dopo quattro settimane di detenzione, i coniugi Polak furono informati che sarebbero stati deportati in Polonia a lavorare. Loro si rassicurarono e si portarono i loro abiti migliori.
Il 23 luglio 1943, mentre Frederik e Grietje salivano a forza su un vagone ferroviario per essere deportati al campo di sterminio di Sobibor, situato presso il villaggio omonimo, nella parte orientale del distretto di Lublino, in Polonia, vicino alla linea ferroviaria Chelm–Wlodawa, un treno proveniente da Amsterdam e diretto al campo di concentramento di Westerbork portava i figli Jacob e Julia ed il genero Bolle.
Due giorni dopo Frederik e Grieje furono uccisi in Polonia. Julia e suo marito vennero inseriti in una lista di ebrei da mandare in Palestina in cambio di un gruppo di tedeschi in quel momento imprigionati in Terra Santa. Jaap divenne direttore della scuola elementare del campo di Westerbork.
“La scuola – dichiarò successivamente Jaap - era fornita di materiale didattico perché i tedeschi amavano dare l’illusione che esso fosse davvero un luogo dove sostare temporaneamente in vista del trasferimento ed integrazione ad est della popolazione ebraica”. I bambini del campo prendevano lezioni per non più di una settimana, poi venivano deportati nei campi di sterminio, selezionati ed uccisi.
Otto mesi dopo, precisamente nel Febbraio 1944, Jaap, Julia e il signor Bolle furono deportati al campo di concentramento di Bergen-Belsen nella Bassa Sassonia, a pochi chilometri a sud-ovest dal villaggio di Bergen.
Jaap fu sistemato in un grosso casermone di cemento brulicante di uomini spenti. La coppia Bolle continuò a credere di essere prossima alla Palestina: fu accampata in una baracca con altri ebrei designati ad uno scambio che non avverrà mai.
Nel Marzo 1945 a Bergen-Belsen scoppiò un’epidemia di tifo che uccise buona parte dei prigionieri. Tra questi anche la bambina olandese Anne Frank. Il suo nome passerà alla storia e diventerà simbolo di sofferenza e pace grazie alla pubblicazione del diario voluta dal padre sopravvissuto.
L’epidemia convinse le SS ad abbandonare il campo. Il 10 Aprile radunarono i duemila internati più resistenti e li caricarono su degli autocarri diretti a nord, verso campi di concentramento più interni e meno esposti ai sempre più frequenti bombardamenti alleati. Jaap si trovava su uno degli autocarri e ritrovò il sorriso quando, durante l’attraversamento del villaggio di Trobitz, nei pressi di Leipzig, il convoglio incontrò l’Armata Rossa proveniente da est: in pochi minuti i nazisti furono uccisi ed i prigionieri liberati e soccorsi dalle truppe sovietiche.
Quando due battaglioni alleati di inglesi e canadesi, giunsero nel campo di Bergen-Belsen era il 15 Aprile 1945 e gli internati morivano come mosche per il tifo.
Julia e il marito erano ancora vivi, ma le condizioni di Julia si aggravarono tanto rapidamente che si spense due giorni dopo. Jaap sopravvisse e ritornò in Olanda dove incontrò il cognato. Poi nel 1951 emigrò negli Stati Uniti. Se fosse ancora vivo adesso avrebbe novantasei anni. Aveva altre due sorelle, Betty e Liesje. Su di loro non ho trovato informazioni.
Tratto da “Diario di un giornalista per la prima volta ufficiale”
Italia e Stati Uniti d’America
Marzo-Maggio 2008
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 29 Luglio 2008