La Croazia nell’UE e la credenza di guerra
Oggi la Croazia si unisce all'Unione Europea. La notizia mi rende felice perché è l’ennesima conferma che l'EU, seppur piena di difetti, sia uno straordinario progetto di pace, una speranza per il futuro, un vaccino contro la guerra.
Era il 1991. Avevo quasi sette anni e con la mia famiglia avevo lasciato la grande casa dal salotto di marmo rosso per andare a vivere in un moderno appartamento in una zona ricca di alberi di ulivo.
La Duma era stata teatro di un tentato colpo di stato, e l’URSS, già in rapido sgretolamento, continuava a costituire un lontano e sfocato elemento scenografico della mia vita di fanciullo. Ricordo che la bandiera rossa non aveva smesso di sventolare negli alberghi della costa nord-orientale della Sicilia, dove ogni domenica passeggiavo insieme alla mia famiglia.
Nel 1991 iniziava la prima delle guerre nell’ex-Jugoslavia. La Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia aveva fatto il suo tempo. Tito era morto da anni e per comprare un chilo di pane bisognava andare al negozio con una carriola di banconote.
Il sogno indipendentista soffiava già in Slovenia, Croazia e Macedonia, paesi immediatamente riconosciuti dalla CEE e dall’ONU e subito entrati nel giro delle alleanze militari occidentali. La Serbia si oppose a qualsiasi richiesta d’indipendenza, mentre la Bosnia, che rischiò d’essere spartita tra croati e serbi esattamente come accadde alla Polonia del 1939, soffrì atrocità indescrivibili per poi cristallizzarsi in una stabilità assai precaria sancita dagli Accordi di Dayton del 1995.
Non ho vissuto il conflitto sulla mia pelle, non ho avuto la necessità di lasciare casa mia o di attraversare correndo una strada deserta tenuta d’occhio dai cecchini, ma quella guerra, sporca forse più di altre, è riuscita a entrarmi in corpo, a fissarsi nella mia memoria di bambino attraverso le immagini televisive che scrutavo con curiosità e paura.
Quella fu per me la prima guerra televisiva, ma non solo. Era un appuntamento quotidiano. Ero consapevole che non fosse un gioco e che da qualche parte del mondo, non sapevo esattamente dove, c’era chi soffriva e chi sentiva mille volte più forte il rumore degli spari che sentivo io dalla tv.
Rastrellamenti, pulizia etnica, genocidio, Sarajevo. Sono queste le parole che associo a quella guerra. Le immagini rimaste in testa sono invece quelle di palazzi sventrati dalle bombe e dai proiettili, case distrutte sporcate di nero dagli incendi, profughi stanchi messi in fila in mezzo alla campagna infangata e devastata dai carri armati.
A quel tempo mio padre non portava più la barba della propria gioventù ed era facile leggere la preoccupazione che il suo volto assumeva davanti alle immagini di guerra pixellate del piccolo televisore in cucina. Eppure non parlò mai della guerra in presenza mia o di mio fratello.
Mia madre, abituata alla tranquillità dell’Australia e non avvezza ai conflitti e alle problematiche europee, temeva l'estensione del conflitto. Così un giorno tornò a casa con pesanti borse della spesa. Aveva portato ogni ben di Dio e conservato il tutto nella grande credenza accanto al forno di casa. Non dovevamo aprire quella credenza perché, ci disse, conteneva il cibo d’emergenza “qualora la guerra arrivasse anche da noi”.
Quella credenza ricca di pacchi di pasta, riso, legumi, tonno e carne in scatola attraeva l’attenzione mia e di mio fratello. Non tanto per il gusto di fare qualcosa di proibito, ma per le merendine e le barrette di cioccolato stoccate lì da mia madre. Adesso che con la mente ritorno a quel tempo, ritengo possibile che mia madre utilizzasse il timore dell'estensione del conflitto per impedirci di ingozzarci di dolci, ma questo ha poca importanza.
Con l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea e con il rafforzarsi dell’idea di “apertura”, rispetto a quella di “chiusura”, ritengo che le immagini di una guerra europea appartengano solo alla storia. Tuttavia, a tanti anni di distanza, per quanto ridicola potrebbe oggi apparire l’idea di quel piccolo magazzino proibito, è attraverso di esso che i tragici fatti di Jugoslavia riuscirono, in un certo senso, a entrare nella mia vita.
Gerusalemme, Luglio 2013
Testo: Alessandro Di Maio/@alexdimaio
Foto: Ron Haviv