25.11.2012 Alessandro Di Maio

Israele, dopo i missili l’esplosione del bus. Tel Aviv si sente sempre più insicura

Articolo pubblicato su l'Huffington Post Italia il 21 Novembre 2012.

Dopo i missili lanciati da Gaza e l’attentato terroristico che questa mattina ha fatto saltare in aria un autobus e ferito ventiquattro persone, a Tel Aviv è possibile vedere il terrore nello sguardo della gente e percepire la paura che attanaglia il cuore laico della società israeliana.

La città appare quella di sempre, fresca per la brezza del Mediterraneo, ingolfata dal traffico automobilistico, moderna per i tanti grattacieli e alla moda per i giovani che affollano i pub agli angoli delle strade; ma gli occhi dei passanti e gli sguardi dei pendolari sugli autobus indicano che da quando quest’ultima escalation di violenza è iniziata, la città non è più la stessa: chiusa in sé, è sospettosa di tutto e tutti.

Dall’attentato di oggi il panico vissuto durante la caduta dei missili dei giorni scorsi si è trasformato in attenzione e prevenzione. I luoghi pubblici generalmente affollati sono stati chiusi.

Lo stesso Azrieli Center, il complesso di grattacieli e centri commerciali più importate di Tel Aviv, è stato chiuso per precauzione e perché limitrofo al quartier generale centrale dell’esercito israeliano.

Nelle ultime ore in tutto il paese sono stati segnalati numerosi oggetti sospetti, in genere borse dimenticate in luoghi pubblici e fatte esplodere dagli artificieri.

Alle stazioni ferroviarie e a quelle degli autobus, gli agenti di sicurezza e i metal detector piazzati lì dalla Seconda Intifada lavorano a pieno regime e operano controlli mai così minuziosi.

Sull’autobus locale numero 4 che porta al centro cittadino, i pendolari si scrutano uno con l’altro. Sharon Savariego, un’israeliana di 27 anni cresciuta con gli attentati terroristici della Seconda Intifada, spiega che è sempre scesa dall’autobus ogni volta che ha ritenuto di essere a fianco di una persona sospetta.

“Bisogna controllare i comportamenti, notare se si guarda attorno con circospezione, se suda leggermente e se muove le mani in modo anomalo, se ha una giacca di dimensioni spropositate rispetto al corpo o al clima, o se ha una borsa tenuta in modo non convenzionale, magari con dei fili tipo auricolari che la collegano al corpo”, dice.

A confermare le parole di Sharon ci pensa un agente della sicurezza all’ingresso della stazione degli autobus di Arlozorov di Tel Aviv, secondo cui la maggior parte dei terroristi suicidi della Seconda Intifada avrebbe utilizzato la cintura esplosiva perché consapevoli che una borsa piena di esplosivo sarebbe stata più facilmente individuabile. “Per questo prima di controllare le borse dei passeggeri scruto il loro abbigliamento”, afferma.

Nei pressi dell’Ambasciata USA, Jorge Gomez de Carrion, studente di origine colombiana che studia in Israele da due anni facendo ogni giorno la spola tra Tel Aviv e Gerusalemme, dice di essere abituato alla violenza, ma non a quella terroristica che sta sperimentando in Israele e che lo rende ansioso e lo fa star male. “Quando ho visto il relitto del autobus non credevo ai miei occhi. Con gli attentanti non c’è nessuna sirena che suona dandoti quaranta secondi per nasconderti in un bunker. Chiunque può salire su un autobus e farsi saltare in aria”.
I controlli alle stazioni e agli ingressi dei bar hanno sempre dato fastidio a Jorge, “li ho sempre ritenuti una perdita di tempo e una lesione di privacy, e oggi, dopo l’attentato, non mi rendono comunque più sicuro”.

“Purtroppo noi israeliani siamo abituati a situazioni di questo tipo, ma abbiamo paura che si ripresenti lo spettro della Seconda Intifada”, afferma Noam Bar Azulay, famosa musicista jazz israeliana.

Se gli attentati terroristici continuassero, Noam eviterebbe di prendere mezzi di trasporto pubblico e di recarsi in luoghi affollati. “Sono certa che non sarei l’unica a comportarsi così, anche se – afferma - arriverà un punto in cui, esattamente come durante la Seconda Intifada, la gente non ne potrà più di starsene chiusa in casa e cercherà di riprendersi la propria vita”.

Articolo di Alessandro pubblicato su l’Huffington Post Italia il 21 Novembre 2012.