Israele al voto: tutti i temi della campagna elettorale
Scritto per ISPI - Dalla caduta del terzo governo Netanyahu un’accesa campagna elettorale ha polarizzato Israele tra il partito della destra storica, il Likud, e la nuova lista dell’Unione Sionista - frutto dell’accordo tra i laburisti di HaAvoda, oggi guidati dall’avvocato Isaac Herzog, e Hatnuah il partito centrista di Tzipi Livni.
Secondo i più recenti sondaggi, il cartello elettorale di centro-sinistra sarebbe in vantaggio di alcuni seggi rispetto al Likud, ma fattori come lo sfaccettato panorama socio-politico israeliano, la storica riluttanza degli elettori a repentini cambi di direzione e la proporzionalità pura del sistema elettorale, rendono impossibile prevedere prima del voto del 17 Marzo quale sarà l’esatta composizione della Knesset e, di riflesso, del prossimo governo.
La campagna elettorale di queste settimane riflette le divisioni programmatiche che lo scorso dicembre hanno scardinato l’eterogenea alleanza di governo costituita da Benjamin Netanyahu dopo le elezioni politiche del 2013.
Se da un lato c’erano Livni e Yair Lapid, impegnati rispettivamente a riprendere il negoziato di pace con i palestinesi e a migliorare l’aspetto socio-economico del paese, dall’altra parte c’era il blocco delle destre composto da Netanyahu (Likud), Lieberman (Yisrael Beiteinu) e Bennett (HaBayit HaYehudi), tutti contrari alla ripresa incondizionata del processo di pace, alla formazione di uno Stato palestinese a ovest del fiume Giordano e al dirottamento dei fondi dalla difesa alle politiche sociali e per la famiglia.
Il quadro di oggi non è cambiato: sicurezza e giustizia sociale continuano a essere i temi caldi di una campagna elettorale priva di dibattito politico e confronto metodologico tra le liste, e caratterizzata dalla contrapposizione tra il Likud e l’Unione Sionista, entrambi in perenne contesa per il settaggio dell’agenda perché unici partiti con aspirazioni di governo.
Netanyahu spinge sulla sicurezza, cercando di convincere gli elettori che le priorità del Paese siano la lotta al terrorismo di matrice islamista e il definitivo arresto delle aspirazioni nucleari iraniane. Considerati come evidenti priorità del Paese, questi temi non sono stati affiancati da alcun programma politico: il Likud si è limitato a offrire agli elettori quello che considera l’unico uomo forte e il solo politico esperto di sicurezza, Netanyahu, in grado di governare Israele in una condizione geopolitica regionale così disastrata.
Il tentativo più clamoroso con cui Netanyahu ha cercato di dettare l’agenda alla campagna elettorale è stato il discorso tenuto il 3 marzo al Congresso degli Stati Uniti d’America che, a due settimane dal voto in Israele, ha contrariato non soltanto i contendenti politici in patria, ma la stessa amministrazione Obama, sentitasi imporre la politica da tenere sul delicato tema del nucleare iraniano e avversa all’uso dell’alto scranno del Congresso per i fini mediatici ed elettorali del primo ministro israeliano.
Se per alcune settimane la polemica scaturita prima e dopo il discorso al Congresso, ha insabbiato temi imbarazzanti per Netanyahu - come lo scandalo del “bottle-gate” e le accuse di abusi al personale della sede del primo ministro rivolte contro la moglie Sarah - facendo riguadagnare terreno al Likud, in questi ultimi giorni l’agenda della campagna elettorale pare dettata dall’Unione Sionista, che delle problematiche socio-economiche ha fatto la base di partenza per tutte le politiche che intende realizzare in sede di governo.
All’uomo forte proposto dal Likud, Herzog e Livni contrappongono l’idea di un governo responsabile e competente, in grado di risolvere i problemi economici e le divisioni sociali che da anni affliggono larghe fasce di popolazione, ponendo fine all’isolamento diplomatico di Israele, migliorando i rapporti con gli Stati Uniti e facendo ripartire il negoziato di pace con i palestinesi – quest’ultimo il vero grande tema assente dalla campagna elettorale.
Tra questi due poli vi sono numerosi partiti che supereranno la soglia di sbarramento del 3,25%, ottenendo una propria rappresentanza in parlamento. Molti di questi si rivolgono a gruppi sociali specifici della società israeliana - religiosi, coloni, arabi, sinistra radicale, russi – ma i due partiti di centro che potranno fare la differenza nella formazione del prossimo esecutivo, sono ‘Yesh Atid’ di Yair Lapid e il corrispondente più conservatore ‘Kulanu’, dell’ex Likud Moshe Kahlon. Questi hanno basato il proprio programma politico su riforme tendenti ad affrontare le problematiche economiche degli israeliani, ed entrambi trovano la propria base elettorale in quel 25-35% d’israeliani - laici, appartenenti alla classe media urbana, spesso indecisi elettoralmente - che non si riconoscono sia nel centro-sinistra, considerato troppo debole nei confronti dei palestinesi, che nei partiti di destra, ritenuti incapaci di affrontare questioni diverse dalla sicurezza.
Dall’inizio della campagna elettorale, i media televisivi locali hanno avuto un comportamento generalmente corretto, arrivando sino a sperimentare il primo dibattito televisivo tra candidati nella storia del paese – cui però non hanno partecipato i rappresentanti del Likud e dell’Unione Sionista.
La carta stampata ha avuto più libertà di manovra, criticando o lodando scelte e programmi politici di una parte e dell’altra. I due quotidiani più letti tra gli israeliani, per esempio, Israel HaYom e Yedioth Ahronoth, stanno appoggiando partiti diversi: se il primo, giornale gratuito filo-Likud edito dal miliardario americano il repubblicano Sheldon Adelson, è stato popolanamente rinominato “Bibiton”, “il giornale di Bibi”; il secondo, da sempre critico della destra israeliana, ha recentemente pubblicato un documento segreto contenente tutte le concessioni politiche e territoriali che Netanyahu aveva promesso ai palestinesi durante gli ultimi negoziati di pace, danneggiando inevitabilmente l’immagine di uomo duro con i palestinesi che Netanyahu si è creato negli anni, e indebolendo il Likud spostando qualche voto verso i partiti della destra radicale - Yisrael Beiteinu e HaBayit HaYehudi.
Da quando i sondaggi assegnano un pugno di seggi in più all’Unione Sionista, sono molti a speculare sull’ipotesi di un esecutivo di centro-sinistra, ma i numeri, al momento, non sono a favore di Herzog e Livni. A causa della dispersione del voto a favore del vasto panorama partitico, in Israele il governo è formato non da chi ottiene più seggi, ma dalla lista che costruisce un’alleanza di partiti che gli assicuri la maggioranza alla Knesset (61 seggi su 120).
Facendo cadere il suo terzo governo, Netanyahu ha ritenuto di aver fatto un investimento capace di fruttargli un quarto esecutivo più omogeneo del precedente. Oggi ha molte più possibilità della controparte di costruirlo.
L’alternativa sarebbe un governo di unità nazionale voluto dal neo presidente della Repubblica, Reuven Rivlin, ma nella fase più polarizzata della campagna elettorale, pur di non perdere consenso, nessun partito è intenzionato a discutere questa ipotesi.
Commentary di Alessandro Di Maio scritto per ISPI* il 13 Marzo 2015.
Link della pagina ISPI dedicata alle elezioni israeliane.
Commentary in PDF.
Photo: Oded Balilty/AP/Press Association Images
*Istituto per gli studi di politica internazionale