Iron Dome: lo scudo antimissile è ok. Israele non teme più Hamas
La Cupola di Ferro è stata collocata. Iron Dome, il nuovo sistema antimissile messo a punto dall’esercito israeliano, ha recentemente intercettato e fatto esplodere in aria otto degli ultimi missili lanciati contro Israele dai militanti palestinesi della Striscia di Gaza.
Costato poco più di 200 milioni di dollari, Iron Dome è l’orgoglio della tecnologia militare israeliana e dovrebbe porre fine alla guerra missilistica messa in atto dai gruppi terroristici palestinesi contro le città israeliane del sud.
Il sistema d’intercettazione balistica è stato progettato dalla Rafael Advanced Defense Systems, l’autorità israeliana per la ricerca tecnologica militare, per intercettare e distruggere missili di corto e medio raggio fino alla distanza di quaranta chilometri in tutte le situazioni meteo.
Iron Dome è costituito da una serie di radar che identificano il lancio del missile e ne calcolano la traiettoria. Un centro di comando automatico calcola la pericolosità del missile. Se questo punta dritto a un centro abitato, il sistema dà impulso alle batterie antimissile che lanciano un razzo intercettore dotato di sensori d’inseguimento.
La sistemazione delle prime due batterie è avvenuta prima del previsto a causa della recente escalation militare. Secondo il Centro Informativo su Intelligence e Terrorismo, infatti, dall’inizio dell’anno Israele ha subito il lancio di quasi quattrocento tra missili e razzi di mortaio, un quarto dei quali sparati solo nell’ultima settimana.
A preoccupare non è soltanto l’intensificazione degli attacchi, ma la loro natura: se la settimana scorsa un missile anticarro è stato sparato dai dintorni di Gaza City contro un pulmino scolastico israeliano, l’utilizzo sempre più frequente di missili di media e lunga gittata come i Katyusha e i Grad – resi disponibili dalla confusione politica egiziana e dai tunnel sotterranei tra Egitto e Gaza – mettono a rischio non solo le piccole cittadine israeliane prossime alla Striscia, ma i grandi centri urbani di Be’er Sheva, Rishon LeZyyon e Ashdod.
Le due batterie al momento operative sono collocate a difesa di Ashkelon e Be’er Sheva, distanti rispettivamente 13 e 40 chilometri dalla Striscia di Gaza, ma il ministro della difesa Ehud Barak ha dichiarato di voler implementare il sistema, acquistando quattro nuove batterie che potrebbero essere operative entro la fine dell’anno.
Dopo quello che il portavoce dell’esercito israeliano Avi Benayahu ha definito «un esperimento sul campo pienamente riuscito», in Israele non si parla d’altro.
Alcuni paragonano Iron Dome alla fionda con cui, secondo la Bibbia, Davide sconfisse il gigante Golia, altri denunciano i costi eccessivi (dai 30mila ai 40mila dollari per ogni razzo intercettore), ma sul nuovo sistema balistico gravano incertezze e lunghe discussioni.
Michal Leiba, una giovane cittadina israeliana che per tre anni ha vissuto a Sderot, a un chilometro dalla Striscia di Gaza, spera che la Cupola di Ferro possa davvero fermare gli attacchi contro Israele. «Per anni ho vissuto sotto le bombe, attenta a sentire le sirene, pronta a rifugiarmi in uno dei tanti bunker che imbruttiscono la città di Sderot. È un’esperienza che non auguro a nessuno», afferma.
Oggi vive a Yavne, una città di 33mila abitanti, poco a sud di Tel Aviv. Da quando i miliziani di Hamas e degli altri gruppi palestinesi hanno a disposizione i missili Grad, Michal non è al sicuro nemmeno a Yavne. «Ultimamente gli allarmi ci sono anche qui, ma mi sento meno al sicuro perché a differenza di Sderot, Yavne non ha bunker pubblici. Probabilmente soffro di stress e disordine post traumatico».
Michal spera che con i palestinesi si possa raggiungere la pace, ma se questa non è possibile «la Cupola di Ferro», aggiunge, «è sempre meglio che vivere quotidianamente con la paura dei missili».
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato dal quotidiano ‘Libero’ il 14 Aprile 2011.