Intervista - Di Maio, un milazzese a Gerusalemme
Pochi giorni fa un giornalista de “Oggi Milazzo”, un giornale della città siciliana dove sono nato, mi ha chiesto un’intervista. Non è la prima volta che ricevo questo tipo di richieste, ma anche questa volta, come le precedenti, la cosa mi ha imbarazzato. Ogni volta, infatti, penso che invece di rilasciarle dovrei farle (io) le interviste.
Tuttavia, non nego che la cosa mi abbia fatto piacere. Non tanto l’intervista in sé, ma il semplice fatto di essere stato contattato e considerato da un giornale della mia terra d’origine. Mi sono sentito richiamare a casa, per le strade dove sono cresciuto. Ripropongo qui l’intervista, ringraziando Sebastian Donzella. Buona lettura.
Vita e mestiere avventurosi. Come mai questa scelta? - Non credo di avere una vita avventurosa, ma aspiro ad averla. Riguardo al mestiere, beh credo di essere ancora agli inizi e di avere ancora molto da fare. Ho deciso di fare il giornalista all’età di diciannove anni. A quel tempo lavoravo come cameriere in un ristorante italiano di Sydney, in Australia. Un giorno feci una consegna alla sede del quotidiano e della radio degli italiani d’Australia, e la vista della redazione mi sconvolse la vita. Tornato a casa, comprai il primo biglietto per l’Italia. Era lì, in Italia, che pensavo di studiare per diventare un giornalista. Da quel giorno a oggi sono successe molte cose e la mia vita ha preso varie pieghe, ma alla fine, più o meno, ci sono riuscito: oggi vivo facendo il giornalista.
Perché in Medio Oriente? - Due ragioni mi hanno portato in questa regione. Da una parte c’è il motivo romantico, quello poetico, dovuto alla bellezza e alla ricchezza culturale dell’area. A Gerusalemme, come nel resto della Vicino e Medio Oriente, i colori e gli odori sono molto particolari e c’è sempre un forte odore di spezie. Le persone sono straordinarie, vivono la loro umanità in modo sincero, senza prestare molta attenzione alle regole sociali di cui noi in Europa non possiamo fare a meno. Da queste parti le persone si amano e si odiano con tutto il cuore, senza che i loro gesti siano mediati. L’altro motivo è prettamente professionale. Vorrei essere un reporter di guerra e non potendo partire così allo sbaraglio per il primo teatro di guerra, ho pensato di dover passare prima attraverso l’esperienza di un conflitto a bassa-media intensità come quello israelo-palestinese per imparare a muovermi indipendentemente tra le ingiustizie e le violenze di uno scontro bipolare.
Perché un giornalista di guerra? - Sono convinto della necessità di evitare che la verità diventi anch’essa una vittima di guerra. Per evitarlo è necessario che ogni guerra abbia i suoi cronisti, seri, onesti e professionali. Non solo, ritengo anche che la guerra sia l’unica esperienza capace di trovare il meglio e il peggio negli esseri umani, ed io vorrei raccontare entrambi, affinché il bene sia preso ad esempio positivo e il male considerato come qualcosa da non ripetere.
In giro per il mondo ma origini milazzesi. Narraci la tua infanzia a Milazzo. Hai ancora contatti? - Sono nato a Milazzo nel 1984 e cresciuto tra Olivarella, Archi e Milazzo. A Milazzo ho frequentato le scuole superiori, lì andavo la sera per incontrare gli amici e uscire con la ragazza. Lì andavo a mare, lì correvo, lì andavo al cinema e a mangiare la pizza. I luoghi che sento più miei sono la Marina Garibaldi, dove passeggiavo da bambino e da adolescente, il Lungomare di Ponente dove ho imparato a nuotare, e il Capo di Milazzo, che risveglia in me i ricordi più primordiali della mia vita. Ma il mio luogo preferito si trova al Borgo, su una delle piattaforme antiaeree della Seconda Guerra Mondiale. È lì, con ponente a destra, levante a sinistra, le montagne davanti, l’Etna di fronte e la città sotto gli occhi, che facevo le mie scelte da adolescente. È lì che ancora oggi, quando mi trovo in Sicilia, mi reco per apprezzare la bellezza della zona. A Milazzo e nell’intero hinterland ho ancora molti contatti, ma come dice un famoso proverbio, “partire è un po’ come morire”, e quando si è distanti per tanto tempo molte amicizie scemano a conoscenze.
Ogni tanto torni in Sicilia? Come pensi sia diventata Milazzo? - Sì, torno una o due volte l’anno per pochi giorni. Più vivo all’estero e più m’innamoro della Sicilia e della cultura siciliana. Sono certo di non poter fare a meno della Sicilia, ma per adesso è la distanza che comanda. Che cosa penso di Milazzo? Milazzo mi ha cresciuto, mi ha dato speranza, mi ha deluso. La città ha visto crescere me ed io l’ho vista imbruttire, diventare arrogante, grigia e opaca. Dico ciò con dolore perché è pur sempre la mia città e spero possa risorgere per godere finalmente lo spazio e l’importanza che merita. La cosa che mi fa più male è vedere la città logorata dalla superficialità politica e da una malavita che si fa chiamare imprenditoria e che sa solamente prendere appalti e non portarli mai a termine.
Che articolo e che foto di denuncia faresti su Milazzo? - Più che di un articolo ci sarebbe da scrivere un libro, ma rispettando i tuoi termini direi che scatterei una fotografia al Lungomare di Ponente e poi scriverei un articolo chiedendomi che fine hanno fatto i soldi necessari per trasformare Ponente in un lungomare con palme, piste ciclabili, marciapiedi, parcheggi e luoghi di ricreazione? Mi chiederei il nome delle ditte vincitrici degli appalti e il perché non hanno portato a termine i lavori. Mi chiederei anche quali sarebbero i provvedimenti giusti da prendere contro quelle ditte e quegli imprenditori.
(intervista di Sebastian Donzella per “Oggi Milazzo”)