17.01.2011 Alessandro Di Maio

Il mio Natale a Betlemme - Parte 1

Il Natale in Terra Santa è diverso, speciale, autentico. Nella terra di Gesù, Giuseppe e Maria il Natale ritorna alle origini, alla semplicità, alle difficoltà del passato. Il Natale in Terra Santa si celebra nel freddo di Betlemme e Nazareth, nella confusione di Gerusalemme, tra le colline pietrose della regione, in case e chiese vecchie di secoli.

E’ la quinta o sesta volta che passo il Natale lontano dalla Sicilia, la seconda volta in Terra Santa. Lo scorso anno sono stato in Samaria, tra Nazareth, il confine libanese e il Lago di Tiberiade. Quest’anno non potevo non andare in Giudea, a Betlemme, la città dove secondo il Nuovo Testamento sarebbe nato Gesù Cristo.

Per raggiungere Betlemme da Tel Aviv è necessario prendere due autobus e due corriere, subire due perquisizioni in diverse stazioni centrali e attraversare un checkpoint. Gerusalemme e Betlemme distano pochi chilometri, ma la strada che le collega è lunga e zigzagata, perché così costretta dalle esigenze del muro che separa Israele dai territori palestinesi della Cisgiordania. In tutto ci vogliono 2-3 ore.

Betlemme è relegata in un angolo della mappa mediorientale, è soffocata dalla barriera di sicurezza israeliana che oltrepassa la Linea Verde per inglobare nello Stato Israeliano le più recenti colonie ebraiche come Gilo e Har Homa. La città di Gesù bambino è chiusa da tre lati su quattro, aperta solo a sud, verso le aspre gole che portano al Mar Morto e alla città di Hebron.

A Betlemme la Piazza della Mangiatoia è gremita di persone in festa. Bambini, mercanti, turisti, morti di fame, sembrano tutti intenti a fare qualcosa. I negozi sono aperti, dal cambia valute al barbiere, dal venditore di pesciolini rossi a quello di shawarma, falafel e kebab.

Agli angoli delle strade ci sono i soldati palestinesi. Sono in forma smagliante, equipaggiati di tutto e fieri del loro ruolo. Le uniformi non sono sbiadite come al solito, ma colorite e ben stirate. Gli stivali sono puliti, le armi luccicano.

Alle cinque del pomeriggio il sole lascia il Medio Oriente e su Betlemme cala il freddo. Il compito di illuminare le strade passa agli addobbi natalizi disposti dal comune palestinese. E’ un illuminazione grezza di lucine rosse, blu e gialle, di croci sulle chiese che contrastano il buio del cielo. Le valli attorno alla città si illuminano piano, una alla volta, come se ci fosse qualcuno ad accendere gli interruttori di corrente.

Al tramonto il muezzin della moschea antistante la Chiesa della Natività chiama i propri fedeli alla preghiera. I cristiani non ci fanno caso, la maggior parte di essi sono palestinesi abituati ai richiami della religione islamica.

Alle sei del pomeriggio la polizia crea dei corridoi forzati intorno alla piazza. Il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese è in arrivo. Come il suo predecessore Yasser Arafat, anche Abu Mazen ci tiene a presenziare alla messa della mezzanotte di Natale.

Giungono poliziotti in tenuta antisommossa, soldati armati di AK-47 e gip militari con la torretta mitragliatrice. Cerco di avvicinarmi alla chiesa, ma i soldati mi respingono insieme alla troupe di Al-Jazeera. Per due ore rimango appostato all’angolo della chiesa, deciso ad immortalare il presidente.

Un soldato in mimetica si avvicina. In una mano ha una sigaretta, nell’altra un Kalashnikov. Mi ordina di mostrargli un documento di identità. Non è nervoso, solo deciso. Gli mostro il tesserino di giornalista. Mi chiede anche il passaporto. Confronta le fotografie sui due documenti, poi accosta i documenti al mio viso. Mi scruta i lineamenti, le sopracciglia, le labbra, le orecchie. Poi guarda le fotografie e restituendomi il tutto dice voltandosi dall’altra parte: “Ti sei tagliato i capelli”.

Sono due ore di interminabile attesa. Il Presidente non arriva e i soldati sono nervosi. Il transennato è oltrepassato con nonchalance da centinaia di persone che i soldati a malapena riescono a contenere. C’è sempre una scusa valida per passare, basta insistere ed essere determinati.

Io ho freddo, tanto freddo. I piedi fanno male, sembrano congelati, e le mani cercano la fessura più profonda delle tasche del giaccone. A Betlemme lo sbalzo di temperatura tra il giorno e la sera ha dell’incredibile. Gli scarponi che calzo e la giacca che indosso sono in stile militare, ma dell’esercito hanno solo lo stile perché li considero pari agli indumenti dei soldati italiani mandati in Unione Sovietica e sulle Alpi francesi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Quando il corteo dell’autovettura presidenziale arriva, la piazza applaude. La mia macchina fotografica è pronta, la posizione è ottima, aspetto solo l’uscita del presidente. Ma il corteo tira dritto, Abu Mazen non è Arafat e non ama i bagni di folla, troppo pericoloso. Entra in chiesa senza farsi vedere da nessuno.

Arrabbiato, lascio la piazza in direzione di un piccolo negozio di souvenir, dove mi aspetta Lia, un’amica tedesca conosciuta lo scorso agosto. Lì trovo anche Mohammed, John e James. Mohammed un suo amico palestinese di Lia. John è il proprietario del negozio, un palestinese cristiano amico di tutti gli europei che passano di là. James il suo luogotenente irlandese.

Non è la prima volta che entro in quella grotta piena di croci e sacre famiglie. C’ero entrato per caso un anno e mezzo prima, durante la mia prima visita a Betlemme. Allora ero un turista come altri, intento a comprare souvenir religiosi. John parlava italiano, mi prese un simpatia e mi fece un ottimo prezzo. Solo dopo molti mesi scoprì che John è un caro amico di quasi tutti i contatti europei e palestinesi presenti nella mia rubrica.

Davanti ad una tazza di tè parliamo, ridiamo, riflettiamo. John dice: “Si vende meglio che negli altri giorni dell’anno, ma questo non è il Natale. Non c’è più l’atmosfera di un tempo”. Gli chiedo di spiegarsi meglio ma non ha le parole giuste per farlo.

Se rispetto agli anni passati qualcosa ha davvero cambiato l’atmosfera natalizia di Betlemme, non posso fare altro che pensare al muro che circonda la città, all’emigrazione dei cristiani e alla sua rapida islamizzazione, al fatto che, probabilmente, il Natale a Betlemme inizia ad essere simile a tutti gli altri.

Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 29 Dicembre 2010