L’incontro ad Antiochia prima del sequestro
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato su Quotidiano Libero il 7 Aprile 2013.
«Aprite gli occhi e buon lavoro!». «Ciao, buon viaggio!». È così che la sera di Pasquetta nell’antica città di Antiochia, al confine con la Siria, Susan, Andrea ed io ci siamo salutati. Io sarei tornato ad Ankara dopo un viaggio nel Kurdistan turco e nei campi profughi siriani nel sud della Turchia, loro avrebbero dovuto terminare i preparativi per entrare in territorio siriano il giorno dopo insieme agli altri due colleghi, Amedeo Ricucci ed Elio Colavolpe.
L’idea era quella d’incontrare l’amica Susan ad Antiochia e passare la Pasqua insieme a lei e a un’altra collega freelance. Purtroppo, tardando il mio arrivo dal confine più a nord, ci siamo incontrati solo la sera.
Di fronte a una tazza di tè e insieme con altri colleghi, abbiamo scherzato e riso sui temi personali, poi ci siamo concentrati su argomenti come la guerra civile siriana, i campi profughi, le sofferenze della popolazione civile, la precarietà dei giornalisti freelance italiani.
Allora come le volte precedenti, ho percepito forte la simpatia e l’onestà di Susan, la sua dedizione al lavoro di giornalista, l’attenzione ai dettagli e l’interesse sincero per i più deboli, per la natura, per l’umanità.
Quando le ho chiesto cosa ci facesse ad Antiochia, mi ha spiegato il progetto «Silenzio, si muore» del giornalista Rai Amedeo Ricucci, e poi ha ammesso: «Mi hanno proposto questo lavoro ed ho accettato. Sono contenta, ma spero sia l’ultima volta in una Siria così...».
Il suo sguardo mostrava fermezza e un pizzico di quel timore misto a eccitamento che solo i giornalisti all’inizio di un viaggio possono provare. Con il passare delle ore arrivavano gli altri membri della troupe della Rai. Prima Elio, poi Andrea. «Ciao, piacere!». «Ah, piacere mio», e giù con le conversazioni sul Medio Oriente che cambia e l’Italia senza un governo.
La mattina dopo ritrovo Susan e Andrea nelle stradine del centro città. Mi hanno chiesto di conoscere padre Domenico, il prete italiano che mi dà ospitalità in città e che insieme con altri religiosi ha fondato una chiesetta cattolica nell’antico quartiere ebraico di Antiochia.
Prima di entrare in chiesa beviamo un tè e fumiamo un narghilè alla mela. «È la tua prima volta in Siria?», domando ad Andrea. «Sì», risponde. «Hai paura?» «Un po’, non sono ancora abituato al Medio Oriente».
Osserva un bambino correre per la strada, sorride e riprende il discorso: «Ma se penso che in Italia manca il lavoro e che questo progetto è con la Rai, il timore passa».
Quando entriamo nella chiesetta, i toni delle voci si abbassano, come a dare rispetto alle icone ortodosse della chiesa. «Abbiamo messo delle icone di tipo orientale per rispetto alla cultura locale», afferma il prete. Susan e Andrea formulano varie domande e il sacerdote risponde con informazioni storiche e descrivendo il cambiamento dei rapporti sociali della città dopo l’immigrazione di migliaia di persone dalla Siria a quest’angolo di Turchia.
Quando usciamo dalla chiesa, corro: ho un aereo da prendere. «Ciao Andrea, è stato un piacere. Ciao Susan, è stato bello rivederti! Aprite gli occhi e buon lavoro!», dico abbracciandoli uno per volta.
«Ciao, buon viaggio!», rispondono. Il giorno dopo, alla stessa ora di quel saluto, sarebbero entrati in Siria per raccontare la tragedia della guerra e le sofferenze della popolazione civile.
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato su Quotidiano Libero il 7 Aprile 2013.
Foto: La città di Antiochia vista dalla Chiesa di San Pietro. La foto è di Alessandro Di Maio