Il Consiglio d’Europa spinge per il dialogo in Medio Oriente
“La speranza del Medio Oriente è il ponte traballante del negoziato, unico strumento che permette l’attraversamento del fiume che da sessant’anni costituisce il conflitto israelo-palestinese”. E’ con queste parole che l'on. Piero Fassino, in qualità di Rapporteur del Consiglio d’Europa sul Medio Oriente, ha terminato oggi, 26 Gennaio 2010, l’esposizione del Rapporto sulla situazione in Medio Oriente di fronte all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo, Francia. Al termine della discussione parlamentare sono stati discussi numerosi emendamenti al progetto di risoluzione successivamente approvato a schiacciante maggioranza.
Frutto degli incontri e dei colloqui avvenuti la scorsa settimana tra la delegazione europea e i massimi esponenti politici israeliani e palestinesi, il Rapporto è stato apprezzato da tutti i membri dell’aula “per precisione, moderazione e scrupolo”, ed ha avviato un’intensa discussione parlamentare cui hanno partecipato anche le delegazioni mediorientali rappresentate dal vice ministro agli affari esteri del governo israeliano, Mr. Daniel Ayalon, e dal ministro palestinese agli alloggi e alle infrastrutture, Mr. Mohamed Ashtiya.
L’on Fassino ha definito complesso il conflitto israelo-palestinese, “non soltanto perché spesso si è creduto - sbagliando - di essere vicini alla pace, ma anche per la diversità delle posizioni tra le parti, separate da rivendicazioni opposte”, quali lo status di Gerusalemme, il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi del 1948, il controllo dei confini, il congelamento e lo smantellamento delle colonie e l’isolamento di Gaza.
Il Rapporto ha elogiato “la riduzione del numero del numero di checkpoint in Cisgiordania, il parziale trasferimento del controllo territoriale della Cisgiordania all’Autorità Palestinese e la crescita economica dell’area Cisgiordana”, ma ha anche evidenziato la necessità e l’urgenza di tornare al tavolo del negoziato nel più breve tempo possibile.
“Il tempo - ha dichiarato l’inviato italiano - non aiuta la pace, ma accresce l’esasperazione e l’instabilità di cui il terrorismo si nutre per strumentalizzare il conflitto israelo-palestinese. Per questo - ha continuato - è importante porgere una mano al mondo islamico affinché il conflitto tra israeliani e palestinesi non sia più strumentalizzabile a scopo di commettere violenze”.
Le delegazione europea ha definito giusta la direzione presa dalla nuova amministrazione statunitense e dalla Turchia, ed a apprezzato la conferenza internazionale sul Medio Oriente proposta per il prossimo Febbraio dalla Russia, perché “il ruolo del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea e di tutta la Comunità Internazionale - ha aggiunto Fassino - deve essere quello di creare le condizioni affinché le due parti si fidino l’una dell’altra, ascoltino le rispettive condizioni ed inizino a parlarsi per l’attuazione di soluzioni soddisfacenti per entrambi”.
Il vice ministro degli esteri israeliano, Daniel Ayalon, ha dichiarato di ammirare il modello europeo e di prenderlo ad esempio “per la pace, la dignità e il rispetto raggiunti dopo anni di spargimenti di sangue”. Ha poi espresso l’assoluta disponibilità del governo israeliano a sedersi al tavolo della pace con i rappresentanti palestinesi. “Lo abbiamo sempre fatto, sia nei negoziati di Camp David (2000) e Minneapolis (2008), quando, rispettivamente Barak e Olmert offrirono ai palestinesi una soluzione che fu rifiutata benché accogliesse il 95% delle loro richieste, che negli ultimi anni, con l’aiuto nella formazione dell’Autorità palestinese, con il ritiro unilaterale da Gaza e il congelamento delle colonie”, ha continuato il vice ministro.
Dall’altra parte, il ministro palestinese, Mohamed Ashtiya, si è complimentato per il rapporto del Consiglio politico sul Medio Oriente, ma ha specificato che “non si possono mettere sullo stesso piano occupanti e occupati” e che trova difficile vedere la disponibilità israeliana alla pace e ad una soluzione soddisfacente per entrambi i popoli.
“Quella israeliana - ha detto - è una lunghissima occupazione militare che produce continuamente nuovi conflitti in territorio palestinese: il muro che non separa i palestinesi dagli israeliani ma palestinesi da altri palestinesi, i 500 checkpoint che impediscono la libertà di movimento all’interno della Cisgiorndania, gli 11mila prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane, l’assedio di Gaza e l’impossibilità di portarvi aiuti internazionali, e il numero di coloni israeliani in Cisgiordania passato dalle 16mila unità nel 1961 alle 431mila di oggi”.
Mr. Ashtiya ha detto che i palestinesi sono pronti al negoziato, ma che è Israele a dover essere pronta a fare ciò che la Comunità Internazionale ha previsto per la pace, mettendo in atto le tante risoluzioni delle Nazioni Unite fino ad ora ignorate. “L’Europa - ha aggiunto - non deve rapportarsi al conflitto israelo-palestinese limitandosi a staccare assegni, ma insieme agli Stati Uniti deve far valere il proprio peso politico-diplomatico”.
Secondo il ministro degli alloggi e delle infrastrutture di Ramallah, “il popolo palestinese ha subito una riduzione del 78% del suo territorio tradizionale e oggi si accontenterebbe del 22%” solo se con esso fossero compresi tutti i territori all’interno della linea verde del 1967: Gaza, 20 miglia marine dalla costa di Gaza, Gerusalemme, West Bank, Mar Morto, Valle del Giordano e villaggi beduini.
Secondo il delegato israeliano non vi sarebbero le basi per tali dichiarazioni in quanto “quando nascerà il loro Stato, i palestinesi avranno guadagnato il 22% del territorio perché uno Stato palestinese non è mai esistito. Gaza - ha continuato il vice ministro - era territorio egiziano, e la Cisgiordania, proprio come suggerisce il nome, faceva parte dello Stato di Giordania”.
Mr. Ayalon ha poi voluto mettere l’accento anche sulla minaccia iraniana, affermando che “se domani molti paesi commemoreranno il giorno della memoria e le vittime della Shoa, Teheran non solo non commemorerà le vittime di tanta crudeltà, ma tramite il suo armamento nucleare continuerà a preparare una seconda Shoa”.
Fassino non ha fatto sue le parole del delegato israeliano ma si è detto preoccupato da un regime iraniano sempre più cruento e minaccioso, ed ha ribadito le richieste del Consiglio d’Europa: “ad Israele chiediamo di non estendere gli insediamenti in Cisgiordania, di continuare la rimozione dei checkpoint, di liberare i tanti prigionieri politici palestinesi, di aprire Gaza all’aiuto internazionale e di estendere il controllo territoriale dell’Autorità Palestinese; mentre a tutti i palestinesi, quindi anche ai membri di Hamas, chiediamo di abbandonare l’uso della violenza e del terrorismo, di riconoscere il diritto di Israele ad esistere e di rispettare l’autorità di Abu Mazen per intraprendere un processo di riconciliazione nazionale palestinese che porti l’Autorità Palestinese ad estendere il proprio controllo anche a Gaza”.
Nel pomeriggio l'aula ha discusso un progetto di risoluzione stilato dal Consiglio politico. Molti gli emendamenti presentati dall'italiana Fiamma Nirnestein e non approvati dall'aula. Il progetto di risoluzione e' stato poi approvato a schiacciante maggioranza, rappresentando cosi' la posizione de Consiglio d'Europa in merito alla situazione mediorientale.
Articolo pubblicato su LaSpecula Magazine il 26 Gennaio 2010.