15.01.2011 Alessandro Di Maio

Gli Stati Uniti confermano l’embargo a Cuba

Lo scorso 30 Ottobre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede per la sedicesima volta consecutiva dal 1992, la revoca dell’embargo statunitense nei confronti di Cuba.

Benché la risoluzione presentata dall’isola caraibica sia stata approvata quasi all’unanimità – 184 paesi a favore, 4 contrari e un astenuto –, il voto contrario degli Stati Uniti ne inficiano l’applicabilità.

Imposto nel 1962 dall’amministrazione Kennedy dopo la fallita invasione dell’isola nella Baia dei Porci, l’embargo ha procurato ben 89 miliardi di dollari di danni all’economia cubana e come ha recentemente dichiarato il Ministro degli Esteri cubano, Felipe Perez Roque, “non è mai stato inflitto con la ferocia di questi ultimi anni”.

Con il solo appoggio di Israele, Isole Marshall e Palau, il voto dell’assemblea internazionale ha reso palese l’isolamento della politica di Washington nello scacchiere latinoamericano. D’altronde, dopo le dichiarazioni rese pubbliche dal presidente statunitense lo scorso 24 ottobre durante un discorso alla Casa Bianca sulle relazioni con l’isola di Cuba, la refrattarietà della posizione statunitense era nell’aria.

In quell’occasione George W. Bush definì il sistema politico cubano un gulag tropicale e, dopo aver aspramente attaccato il governo de La Habana e promesso maggiori risorse per i dissidenti, ha suggerito al popolo dell'isola di iniziare la mobilitazione per un cambio “democratico e pacifico”.

Parole che hanno fanno piacere ai più radicali esuli anti-castristi di Miami che riuscendo a gestire i voti della comunità cubana della Florida, ad un anno dalle elezioni federali, costituiscono un’importante risorsa per il Partito Repubblicano, proprio come lo furono nell’elezioni presidenziali del 2001 per la vittoria di Bush su Al Gore.

Visti i rapporti economici e politici che Washington sta tessendo sempre più intensamente con paesi definiti comunisti e poco rispettosi dei diritti umani, le ragioni che agli occhi dei repubblicani rendono Cuba diversa sembrano non solo essere elettorali, ma anche storici, dovuti alla frustrazione per l’infruttuosa linea strategica adottata nei confronti di Cuba negli ultimi cinquant’anni.

La decisione di proseguire con l’embargo rischia di diventare controproducente per la stessa linea dura di Washington. Se è vero che il bloqueo continua a creare danni all’economia cubana, è anche vero che da quando Cuba, Venezuela e Bolivia si sono unite in una fitta rete di rapporti politico-economici all’interno dell’Alternativa Bolivariana per l’America (ALBA), l’embargo risulta essere sempre meno gravoso per il sistema economico dell’isola che, in un recente studio di un’équipe internazionale del Global Footprint Network, è stato scoperto essere quello con il più alto rapporto tra il livello di sviluppo umano e l’impatto ecologico dovuto al consumo delle risorse.

Articolo pubblicato da LaSpecula Magazine il 4 Novembre 2007