Elezioni israeliane a sorpresa: Netanyahu va giù, sale il centro
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato sull’edizione cartacea del quotidiano Libero il 23 Gennaio 2013.
Il vincitore di queste elezioni è senza dubbio Yair Lapid, ex giornalista e volto noto della televisione israeliana, che con la sua nuova formazione politica di stampo centrista avrebbe ottenuto diciannove seggi alla Knesset. Se i primi exit poll fossero confermati, Israele si troverebbe in una situazione politica assai diversa da quella descritta dai sondaggi della scorsa settimana che davano una vittoria schiacciante al blocco di destra costituito da conservatori, nazionalisti e religiosi.
Già prima della chiusura dei seggi correva voce che recandosi a votare, il 15- 20% di elettori indecisi avesse non soltanto aumentato l’affluenza, ma concentrato i propri voti verso gli schieramenti centrali, in particolare verso il partito di Lapid.
Benché Netanyahu appaia ancora una volta il politico con più carte in tasca da giocare per la formazione del 33mo governo israeliano, è chiaro che la sua chiamata a «votare per un Likud forte» non è riuscita, in quanto il partito Likud-Beiteinu - frutto dell’unione con il partito di Avigdor Lieberman - avrebbe ottenuto trentuno seggi, undici in meno rispetto alle elezioni del 2009.
Se confermati i numeri, Netanyahu non potrebbe più formare il super governo di ultradestra che si prospettava fino a pochi giorni fa, in particolare perché il partito di destra radicale Bayit Yehudi si sarebbe fermato a dodici seggi, mentre i partiti religiosi ultra-ortodossi avrebbero raggiunto diciotto seggi tutti insieme. Questo significa che alla Knesset il blocco di destra raggiungerebbe una maggioranza risicata di 61 seggi.
Sul campo dell’opposizione, oltre al risultato di Lapid, svettano i sedici seggi ottenuti dai laburisti di HaAvodà, i sette seggi ottenuti rispettivamente dal Movimento di Tzipi Livni e dai socialisti di Meretz e i nove seggi della costellazione dei partiti arabi-israeliani e di sinistra radicale.
Chiuse le urne, è probabile che i partiti inventino una coalizione di governo che includa formazioni di ogni area politica, soprattutto centrista – Lapid e Livni in primis.
Queste elezioni rimarranno tra gli annali storici dello Stato ebraico perché per la prima volta nella storia di Israele la campagna elettorale è stata completamente incentrata sugli affari interni e non su questioni di sicurezza e politica estera come accaduto in tutte le volte precedenti.
Temi come il conflitto israelo-palestinese, il nucleare iraniano, i rapporti con i paesi arabi vicini sono stati quasi del tutto estromessi dalle agende elettorali dei maggiori partiti israeliani.
Anche l’ultima guerra con Gaza, da molti analisti bollata come un’operazione voluta per fini elettorali, è stata totalmente ignorata in campagna elettorale - solo Tzipi Livni e Naftali Bennett hanno utilizzato la questione palestinese per le proprie campagne, la prima promettendo di sedersi al tavolo della pace con Abu Mazen, il secondo prospettando l’annessione a Israele di buona parte della Cisgiordania.
L’assenza di politica estera dalle elezioni si deve sia alla situazione geopolitica della regione mediorientale - ancora scossa dagli stravolgimenti della Primavera Araba – che all’attivismo e alla partecipazione politica che dall’estate del 2011 ha spinto milioni d’israeliani a scendere in piazza allo scopo d’aggiornare l’agenda politica del governo e dei partiti a favore di maggiore giustizia sociale.
È proprio quello che, sposando temi come la riduzione del costo della vita, il miglioramento dei servizi sanitari, del sistema scolastico, dello stato dei trasporti e l’integrazione degli ultra-ortodossi nella società israeliana, hanno fatto i partiti che più hanno guadagnato in queste elezioni, HaAvodà e YeshAtid.
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato sull’edizione cartacea del quotidiano Libero il 23 Gennaio 2013.
Foto: Avishag Shaar Yashuv/Flash 90/JTA