Elezioni, Israele riconfermerà la destra al potere
Articolo pubblicato su Libero il 19 Gennaio 2013.
Nelle ultime settimane i sondaggi avevano segnalato una diminuzione dei voti per il partito dell’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahu ma, a quattro giorni dalle elezioni, non ci sono dubbi: Bibi - com’è spesso chiamato dalla stampa locale - sarà per la terza volta il primo ministro di Israele.
Sul voto pesa anche il nuovo rapporto con gli Stati Uniti del presidente Obama, il quale non fa mistero di criticare Netanyahu, la cui politica, ha fatto sapere Washington, porterebbe «all’isolamento di Israele».
Ieri è scattato il divieto alla pubblicazione dei sondaggi, ma sembrerebbe che al Likud-Beiteinu – partito frutto dell’unione avvenuta pochi mesi fa tra il Likud di Netanyahu e l’Yisrael Beiteinu di AvigdorLieberman – verrebbero assegnati circa trentaquattro seggi su 120 della Knesset, il parlamento israeliano.
Se confermato dalle urne, il risultato sarebbe inferiore a quello ottenuto nelle elezioni del 2009, quando i due partiti si erano presentati agli elettori in modo disgiunto ottenendo rispettivamente ventisette e quindici seggi, ma rafforzerebbe la posizione di Netanyahu all’intero della futura coalizione di governo, rendendolo, tra l’altro, il leader del più grande partito israeliano.
L’opposizione arranca con il partito laburista HaAvodà (16-18 seggi), il Movimento di Tzipi Livni (6-8), il socialista Meretz (6), l’ex partito di Ariel Sharon Kadima (2) oggi guidato da Shaul Mofaz, e la costellazione dei partiti arabi e di sinistra radicale orbitanti tra i 1-4 seggi.
Con questi numeri un governo di coalizione tra i partiti di sinistra sarebbe impossibile in quanto non riuscirebbe a raggiungere i sessantuno seggi necessari per avere la maggioranza al parlamento.
Assai probabilmente è, invece, un governo a motrice Likud-Beiteinu, appoggiato dai partiti religiosi Shas e Unione Giudaismo Torah, stabili rispettivamente a dieci e sei seggi, e da una delle due novità politiche di questa campagna elettorale: Naftali Bennett, fuoriuscito dal Likud perché critico del cessate il fuoco raggiunto durante l’ultima guerra con Gaza, e Yair Lapid, giornalista e volto noto della televisione israeliana.
Il primo ha formato il partito di estrema destra Bayit Yehudi, vicino alle richieste dei coloni israeliani in Cisgiordania e dato a circa quattordici seggi, mentre il secondo ha formato il partito Yesh Atid, schierato su posizioni centriste e dato a circa undici seggi.
Insistenti sono anche le voci che vedrebbero Kadima e Tzipi Livni sostenere il futuro governo Netanyahu allo scopo di moderarne la politica verso posizioni di centro.
Si conclude così una campagna elettorale che ha spaziato dallo stato socio-economico del Paese, caratterizzato da un impoverimento della classe media e da grosse sacche di povertà, al rapporto tra laici e religiosi, con la spinosa questione sulla leva militare obbligatoria per gli ebrei ultra-ortodossi, e, infine, la sicurezza e i rapporti con i palestinesi – tema affrontato ieri prima del silenzio elettorale da Netanyahu per far sapere di non essere intenzionato a rimuovere le colonie dalla Cisgiordania «perché i tempi in cui i bulldozer sradicavano ebrei sono dietro di noi».
Articolo di Alessandro Di Maio pubblicato su Libero il 19 Gennaio 2013.
Foto: The Atlantic