Afghanistan: l’attentato ai parà e la nuova strategia di Obama
L’incenso dei funerali di Stato dei sei paracadutisti della Folgore si è disperso nell’aria raffreddata dai temporali degli ultimi giorni, ma in Afghanistan si continua a combattere, a morire. Questo fine settimana altri tre soldati statunitensi sono morti, portando a 53 le vittime militari straniere dall’inizio di Settembre, 1407 (di cui 841 statunitensi) dall’inizio della missione Enduring Freedom.
A più di una settimana dall’attentato terroristico che ha ucciso quindici persone e ferito più di cinquanta tra militari e civili, non si conoscono le modalità, e ciò che in un primo momento sembrava certo adesso non lo è più.
Intervenendo al programma di Lucia Annunziata “1/2 ora”, il Capo di Stato Maggiore, colonnello Aldo Zizzo, ha dichiarato che “l'unico dato certo è che una macchina si è fatta esplodere al passaggio del nostro mezzo”. Se sia trattato di un attentato kamikaze o di un’autobomba telecomandata, o se la macchina sia stata fatta esplodere scontrandosi con il primo blindo della colonna ISAF in corsa sulla strada tra il centro cittadino e l’aeroporto o se invece sia stata parcheggiata a lato della strada e fatta esplodere al passaggio dei blindi italiani, questo ancora è incerto.
Il Ministero della Sanità di Kabul aveva fatto sapere di aver recuperato il cadavere del kamikaze fattosi esplodere all’interno dell’auto, ma della vettura è rimasto ben poco e secondo fonti militari italiane, sembra improbabile che siano rintracciabili i resti di un eventuale attentatore suicida.
Inoltre, immediatamente dopo l’attentato, Anna Buono, moglie di uno dei sopravvissuti, il caporalmaggiore capo Ferdinando Buono, riferendosi al racconto del marito aveva dichiarato: “Quando lui e gli altri feriti stavano faticosamente liberandosi dalle lamiere sono sbucati degli uomini che hanno esploso contro di loro dei colpi di arma da fuoco. Ferdinando e' riuscito a recuperare una pistola, i militari hanno risposto al fuoco e gli aggressori si sono dileguati, mentre sul posto giungeva la polizia afghana”.
Il ministro della difesa Ignazio La Russa ha ribadito la possibilità di uno scontro a fuoco che “se ci fosse stato davvero – ha aggiunto il numero uno dell’Esercito Italiano col. Zizzo – sarebbe la prova di un ‘attacco complesso’ in pieno centro di Kabul, e sarebbe la prima volta”.
Ad indagare sulla tragedia è la Procura di Roma. Nelle informative contenute nel rapporto ricevuto e vagliato dai pm Pietro Saviotti e Giancarlo Amato, si parla di conflitto a fuoco della durata di circa un minuto, nel quale, subito dopo l’esplosione, sono stati coinvolti i quattro militari a bordo del secondo Lince.
Ma di scontro a fuoco e spari verso il cielo dopo l’esplosione, o di auto parcheggiate in attesa del passaggio del convoglio ISAF non parla Samad, un Afghano di 24 anni che vive vicino all'aeroporto e che proprio in quel momento si trovava a passare dalla strada dell'attentato. Intervistato da Rahim Aria, corrispondente dall’Afghanistan per LaSpecula.com, Samad ha dichiarato di aver visto “un uomo alla guida di una Toyota diretta contro la prima autovettura italiana. C’è stata una tremenda esplosione che ha squassato tutto e tutti – ha continuato - e dopo ho visto l’incendio, il veicolo bruciava e a terra c’erano soldati e civili che, dopo essersi rialzati non facevano altro che urlare tra di loro”.
Probabilmente Samad è uno di quei testimoni oculari che il generale Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ritiene inaffidabili per avere “ricordi non sempre coincidenti con la realtà”, oppure dice semplicemente ciò che ha visto, ovvero una situazione diversa da quella descritta dai soldati italiani sopravvissuti all’attentato terroristico.
Nel frattempo in Italia si è fatta polemica. Mentre le famiglie piangevano i figli uccisi, la Lega, Di Pietro e i comunisti hanno chiesto il ritiro dei militari italiani, il PD ha invitato il governo ad associarsi alla proposta di Francia e Germania per una Conferenza Internazionale di pace dove ridiscutere la strategia politica-diplomatica di intervento a sostegno della popolazione afghana, ed il governo, farfugliando ipotesi di ritiro, ha pubblicizzato come tale il ritorno a casa dei 500 soldati inviati per rafforzare il contingente italiano in vista delle elezioni presidenziali afghane tenutesi lo scorso fine Agosto.
Due giorni fa, durante la 64ma Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il colonnello Gheddafi ha ‘consigliato’ a Washington e Londra di “andare via dall'Afghanistan e lasciare il Paese agli afghani, come l'Iraq agli iracheni, perché – ha domandato - chi dice che sia un pericolo per noi, chi dice che i Talebani sono Bin Laden?”
Ma a Washington non si parla di ritiro. Il Presidente Barack Obama sembra trovarsi tra l’incudine e il martello, tra il rapporto inviato dal nuovo comandante in capo in Afghanistan, generale Stanley McChrystal, che ha dichiarato senza mezzi termini il rischio di perdere la guerra qualora non venissero predisposti rinforzi, e il timore di Vietnamizzazione del paese asiatico – dal 2008 a oggi il numero dei soldati impegnati in Afghanistan è salito da 32.000 a 68.000 unità.
In un intervista al New York Times, il vice presidente USA, Joe Biden, ha fatto sapere che la Casa Bianca sta valutando alternative all’aumento del numero dei soldati in Afghanistan. In particolare sembrerebbe che gli strateghi di Washington stiano elaborando una strategia nuova e di ampio respiro che tenga conto delle nuove situazioni in Afghanistan e Pakistan.
Ed è proprio la situazione in Pakistan a preoccupare la Casa Bianca. Il governo di Asif Ali Zardari è debole, gli attentati terroristici uccidono decide di persone ogni giorno in ogni città del paese, ed i Taliban pachistani controllano l’11 % del territorio nazionale e stanno penetrando nel Punjab, il cuore politico ed economico del paese.
Durante una missione a Baghdad, il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha dichiarato che “una possibile vittoria Taliban sull’esercito pachistano è troppo spaventosa per essere presa in considerazione”, perché i militanti islamisti avrebbero accesso agli ordigni atomici che costituiscono l’arsenale nucleare del paese e che sono custoditi nel Punjab occidentale.
Della nuova strategia di Obama fanno parte anche gli ingenti aiuti economici promessi a Islamabad e l’impegno per la non proliferazione degli arsenali nucleari – appena votata all’unanimità al Consiglio di sicurezza dell’ONU – che, in caso di esito positivo e di breve termine nel controllo delle testate nucleari pachistane, e unito alla exit strategy in Iraq, potrebbe garantire agli USA l’impegno su un unico fronte, quello Afghano.
Editoriale pubblicato da LaSpecula il 25 Settembre 2009.