03.01.2011 Alessandro Di Maio

ADMITTED in the USA

La mattina del 13 Aprile 2008 andai a votare per le elezioni politiche che avrebbero dato all’Italia una nuova composizione parlamentare e un nuovo governo. Il pomeriggio comprai un nuovo computer portatile, libri e guide, preparai mappe e documenti, segnai indirizzi e numeri di telefono, e quando anche la valigia fu pronta, con il volo Airone 2843 delle 06:30 del 14 Aprile 2008 partii dall’aeroporto di Catania per Roma Fiumicino, dove avrei preso la coincidenza per l’aeroporto Dulles di Washington.

Il biglietto era di classe economica, rinforzato però dai vantaggi riservati ai biglietti acquistati dalle istituzioni diplomatiche. Sul volo 967 della United Airlines ebbi diritto a quaranta chili di bagagli e alla scelta del menù.

M’imbarcai con la paura di chi sa di attraversare l’Oceano Atlantico con un aereo di una delle compagnie cadute in mano ai terroristi dell’11 Settembre 2001, ma il viaggio si rivelò il peggiore per altri motivi. Maturo come le sue hostess cinquantenni, l’aereo della United fu soggetto alle turbolenze atlantiche, sobbalzava cadendo nei buchi d’aria, si piegava a destra e poi a sinistra tenendomi in ansia per ogni vibrazione senza lasciarmi dormire.

Arrivai all’aeroporto di Dullas dopo nove ore di volo, due ore di sonno, un pranzo, uno snack, sessanta pagine del libro Outline of U.S. History. Alle tre del pomeriggio ora locale giunsi alla frontiera aeroportuale. Da parte degli agenti di frontiera mi aspettavo lo stesso trattamento aggressivo e maleducato ricevuto all JFK di New York City, ma gentili signore di mezza età mi accolsero lietamente, ringraziandomi per visitare “la dolce città di Washington”. In poco meno di mezz’ora furono tre gli agenti che mi benedirono.

“Good afternoon sir”, mi salutò un poliziotto di frontiera.
“Good afertoon to you officer”, risposi cedendogli il passaporto e la scheda d’ingresso.
“Why are you coming to the States?”
“I am a journalist, I will cover the democratic primaries elections in Pennsylvania”.
“Cool!”, esclamò. “How much money do you have with you now?”.
“Umm… – borbottai facendo finta di pensare una risposta che avevo già preparato – about 200 US dollars”.

Mi prese le impronte di entrambe le mani, poi fotografò le cornee e dopo una serie interminabili di “ok” prese un timbro e tra il visto e la pagina numero 17 del passaporto impresse il marchio di approvazione: ADMITTED. Fu in quel momento che entrai negli Stati Uniti d’America per il secondo anno consecutivo. In quel momento iniziai davvero a sentirmi un inviato all’estero.

Tratto da “Diario di un giornalista per la prima volta ufficiale”
Italia e Stati Uniti d’America
Marzo-Maggio 2008

Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Alexander Platz Blog il 23 Dicembre 2008